Befana, femminea potenza
Guardare alla luna, coltivare il raccolto, stare concentrate sui desideri e lasciare stare i propositi.
Manifestarsi senza annunciarsi. Avere senza chiedere. Dimostrare senza sforzarsi. I soggetti imprevisti si muovono su altri piani: “Befana” (o Befanìa) è una storpiatura popolare del greco ἐπιφάνεια (epifáneia) che a sua volta proviene da ἐπιφαίνω e significa “mi mostro, mi presento, mi manifesto”.
La scopa della mia Befana è di saggina, ha il fusto sottile, pieno di midollo, il legno resistente e i rami sapienti: è una strega, sa tutto prima che tutto accada. Davanti a questo, i buoni propositi non servono: serve sentire. E, all’inizio di questo nuovo anno, è l’epifania che ci mostra la rotta da seguire: essere forza, essere natura. Essere, così, forti naturalmente. Mai per imposizione altrui. Generare la vita, portarla, diffonderla, seminarla, indirizzarla. Essere così potenti da poterla togliere e ridare: il carbone all’apparenza “punitivo” brucia e fa rinascere.
La festa della Befana ha origine antichissime e la sua protagonista è una forza della Natura costruita sulla scia dei miti delle dee madri che non muoiono mai perché la Natura non permette il non essere della morte.
La Befana invecchia ma non muore, conserva il potere di diffondere la vitale energia nel dono della rigenerazione che espande nella notte: la stessa che lei rende “magica” cavalcando il simbolo fallico (la scopa), controllata e dominata nella femminea potenza lunare che la Befana rappresenta.
Volare al di sopra: voi non vedete, noi sì. Secondo il mito di epoca romana si credeva che nelle dodici notti successive al solstizio d’inverno alcune figure femminili volassero sopra ai campi. Si trattava di un buon auspicio per i raccolti ed era un’azione guidata da Diana, dea lunare della caccia e della vegetazione, oppure da Sàtia, divinità legata al concetto di sazietà.
La Befana è l’ennesima trasformazione di Diana, dea della Luna e dei cicli biologici della vita: Diana, sintesi nel sincretismo religioso dell’antica Roma, ingloba tutte le grandi dee madri ed è l’Epifania del mondo. Strega, potente, visionaria, sopravvissuta anche al femminicidio di massa della caccia alle streghe: continua a sfidare spazio e tempo perché proprietaria della “dodicesima notte”. Ovvero la festa della Befana che si celebra a dodici giorni dal solstizio d’inverno.
Dunque, l’immagine della vecchietta un po’ pazza e misteriosa, dimenticatela. Anzi, mettetela in relazione a ciò che si vuole nascondere: la potenza di generare vita pure nella morte, ovvero “l’invecchiamento” attraverso cui la Befana viene più comodamente rappresentata e dipinta come “strega”.
In realtà, le streghe non se ne sono mai andate e, anzi, continuano a rappresentare un “memento” alla necessità di ribaltare le narrazioni: la tesi della filosofa Silvia Federici nel libro “Calibano e la strega” è che la caccia alle streghe in Europa - che ha raggiunto la sua acme tra la fine del sedicesimo e la metà del diciassettesimo secolo - abbia rappresentato il tentativo perpetrato dalle forze statuali di addomesticare la donna, renderla cioè adatta alla mansione di procreare e allevare la prole. Chi è, difatti, la strega?
La strega è una vecchia: incapace di generare; è una mendicante: povera, fa morire ciò che tocca; è lasciva e lussuriosa: cerca il rapporto fuori dal matrimonio, dalla famiglia, distrae la forza-lavoro; la strega pratica la magia e vola sulla scopa: ha un corpo non localizzabile e non addomesticabile ai ritmi del lavoro richiesto dal capitalismo. La strega non fa figli: è il contrario della forza generatrice. La strega è ciò che attenta all’ordine imposto dal capitalismo.
Il disciplinamento delle donne che non rispettavano i canoni accettati dalla società è stato a lungo usato per bloccare ed impedire qualsiasi possibilità di modificare la propria condizione. E oggi il capitalismo ha fatto di una figura antica un’occasione di commercio. L’essenza della Befana, invece, sta nella sua storia e nel suo potere: esattamente come in quei 12 giorni successivi al solstizio d’inverno che segnavano “l’Epifania” si riunivano per i contadini le speranze di un buon raccolto per l’anno appena iniziato, così stanno i nostri desideri adesso. Madre Natura, che ha appena lavorato e “fruttato” per tutto l’anno precedente, è vecchia e rinsecchita. Ma arriverà raccolto nuovo.
Come le fasi lunari, la luna nuova è nascita. La luna piena è vita. La luna falciata, che pure porto sulla pelle, si sta per estinguere ma mai muore. Anzi, nella sua notte “sacra” continua ad annunciare il sì alla vita universale: non serve manifestarsi, basta essere. Tutto arriva. Godetevi la notte.
*(La prima newsletter del 2024 è dedicata a nonna Nicoletta che non vedrà nascere quest’anno dalla Terra ma probabilmente da un pezzo di luna. L’ultima luna piena del 2023 è stata sua, lo sono anche le parole che sono arrivate e arriveranno in questa newsletter)*
📰 Rassegnami
I desideri ci guidano, non dove crediamo noi
A un certo punto si intuisce cos’è l’impermanenza e perché conviene affidarcisi. Tutto è precario e provvisorio, cercare di controllare le cose è inutile. Questo non significa che bisogna smettere di desiderare o di cercare di fare del proprio meglio, anzi. Sono sempre i desideri a guidarci, ma non dove crediamo noi. Ho programmato un viaggio a Monaco per rivedere una persona che mi aveva colpita: quando ci sono andata era via per lavoro. Ma ho scoperto la pittrice Gabriele Münter, sulla quale ho scritto un libro. Non è cosa facciamo che conta, ma come lo facciamo, con che slancio, quale allegria. Come scriveva il poeta Seamus Heaney: “Il modo in cui viviamo, timorosi o audaci, sarà stato la nostra vita”.
Diritti, in Italia arretrano: i passi indietro nel rapporto di “A Buon diritto”
Avremo i diritti che continueremo a difendere: è quanto emerge dal Rapporto sullo stato dei diritti in Italia, una preziosa raccolta di dati e analisi che ogni anno – a partire dal 2014 – l’associazione “A Buon Diritto”, fondata da Luigi Manconi, elabora grazie al sostegno dell’Otto per Mille della chiesa Valdese. Ne ho scritto per Alley.
Perché ci sono pochi corsi di studi femministi nelle università italiane
Nonostante la sensibilità e la cultura siano molto cambiate, rimane il ritardo degli atenei italiani nell’integrare più di un secolo di produzione teorica nei percorsi accademici.
Studi di genere: cosa sono e perché in Italia sono poco diffusi
Ne avevo parlato, appena immatricolata, per The Wom: gli studi di genere rappresentano un approccio multidisciplinare e interdisciplinare allo studio dei significati socio-culturali della sessualità e dell’identità di genere.
Il nome Gender Studies è relativamente nuovo: fino agli anni Ottanta la denominazione usata infatti era Women’s Studies, nati come diretta conseguenza del movimento femminista degli anni ‘70. Le femministe dell’epoca, infatti, criticavano il fatto che l’istruzione fosse ancora in gran parte di stampo maschile e ignorasse il contributo e l’esperienza femminile: era quindi parte dell’agenda femminista “riappropriarsi della conoscenza” introducendo nei principali “centri del sapere” una prospettiva che tenesse conto del punto di vista delle donne.
Giornaliste e scrittrici hanno ideato una sorta di Me Too letterario, un'azione concreta per richiamare l'attenzione sull'importanza della solidarietà e della partecipazione contro ogni forma di violenza di genere.
“Noi, molestate dai colleghi in corsia”. Il Me Too delle donne in camice bianco
Parlano dottoresse e infermiere: sei su dieci hanno subito abusi sul lavoro. “Al turno di guardia mi chiusi dentro e loro bussavano: aprici, è il tuo battesimo”.
Il cinema è delle donne: quattro film da rivedere per (ri)cominciare l’anno
Il cinema è un mestiere da donne, come dimostrano i grandi successi cinematografici di quest’anno da “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi a “Barbie” di Greta Gerwig. Eppure i dati dimostrano come il settore del cinema e dell’audiovisivo sia ancora caratterizzato da un forte divario di genere: ecco quali sono i numeri e, soprattutto, quali film vale la pena riguardare per accorgersi che, cambiare lo sguardo, serve a costruire un altro cinema.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Bianca Bagnarelli
Dalla finestra di casa sua, che poi è anche lo studio da dove prendono vita le sue storie, Bianca Bagnarelli vede le Due Torri e San Luca. “Abito in San Donato, la casa è tutta esposta a sud”, racconta l’illustratrice milanese che da ragazza, finito il liceo artistico Boccioni, scelse l’Accademia di Belle Arti di Bologna per assecondare il suo talento con le matite, rincorrendo il sogno di fare fumetti.
Oggi, che di anni ne ha 35 e collabora con molte riviste internazionali, una sua illustrazione sta facendo il giro del mondo. Si intitola “Deadline”, è la copertina del primo numero del nuovo anno del New Yorker.
Illustratrice per numerose riviste statunitensi e italiane – tra cui il New York Times, Il Post, The Atlantic, Il Foglio, The Milaneser e numerose edizioni dello stesso New Yorker – Bagnarelli ha studiato come disegnatrice e fumettista all’Accademia di Bologna con insegnanti come Vanna Vinci e Sara Colaone. Sue sono le copertine di romanzi come Klara e il Sole di Kazuo Ishiguro e Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie, pubblicati per i tipi di Einaudi.
Nata a Milano nel 1988, Bagnarelli ha fondato Delebile nel 2010, piccola editrice indipendente che pubblica storie a fumetti realizzate da artisti italiani e stranieri, nel 2014 ha vinto il premio Bartoli come fumettista italiana più promettente e nel 2015 la Society of Illustrators l’ha insignita della medaglia d’oro nella categoria short form nella Comic and Cartoon Art Competition grazie al graphic novel Fish. Tra i numerosi progetti, Bagnarelli ha anche partecipato all’iniziativa del Ministero della Cultura Fumetti nei Musei con il fumetto Vulcanalia – ambientato nel Parco Archeologico di Pompei – e un autoritratto, poi entrato nella collezione degli Uffizi.
La sua illustrazione riassume una condizione – ma anche una sensazione, addirittura un’emozione – non solo condivisa da milioni, miliardi di persone ma anche assolutamente contemporanea e attuale: la deadline. L’effetto di immedesimazione in questa donna illuminata solo dall’ampio schermo di un Mac è immediato: altre luci si accendono dalla finestra, probabilmente fuochi d’artificio di fine anno, una festa che però rimane fuori, al di là dei vetri, troppo distante dalla deadline.
“Lavoro spesso durante le feste”, ha raccontato al New Yorker Bagnarelli. “All’inizio penso di stare sfruttando ritagli di tempo di momenti in cui il resto del mondo si ferma, ma poi mi rendo conto anche di perdermi il divertimento, e quindi resta una sensazione dolce-amara”. Questa illustrazione è sua ma anche nostra. E spiega, probabilmente, il mondo che abbiamo e quello che vorremmo. Oltre il vetro. In mezzo ai fuochi che non possiamo perderci.
🌱 La parola
Rizz
Il prestigioso Oxford English Dictionary l'ha designata parola dell'anno.
Il termine del 2023 è ‘rizz’ e, come riporta la BBC, è utilizzato soprattutto tra i giovani sui social e indica lo stile, il fascino o la capacità di attrarre. Si pensa che il termine sia una forma abbreviata della parola 'carisma'. Può anche essere usato come verbo, in frasi come 'to rizz up', che significa attrarre, sedurre.
Il termine si è diffuso sui social dopo che a giugno Buzzfeed ha chiesto all'attore Tom Holland quale fosse il segreto del suo 'rizz'. Holland ha risposto: “Non ho alcun rizz. Ho un rizz limitato”, prima di spiegare di aver conquistato la sua ragazza Zendaya dopo un lungo corteggiamento.
“Parla di come le generazioni più giovani creano spazi, online o di persona, dove possiedono e definiscono la lingua che usano" - ha detto l'editore - Dall'attivismo agli appuntamenti e alla cultura in generale, man mano che la Generazione Z arriva ad avere un impatto maggiore sulla società, le differenze di prospettive e di stili di vita si manifestano anche nel linguaggio."
Desiderio 2024: non preoccuparsi del rizz e dunque averlo.
🍸 Coraggio liquido
Dal mare della Puglia a quello della Sardegna: Giniu gin arriva dall’isola ed è qui che viene prodotto da un antesignano del gin sardo, Silvio Carta, che ha iniziato a distillare nell’isola dal 1985. Aromi travolgenti di mirto si mixano a quelli di finocchietto selvatico. Bevuto liscio è quasi balsamico. “La sua impronta rimane a lungo sul palato, come un ricordo indelebile” dice Carta del suo Gin: per poggiarsi sul palato e rimanerci ci vuole tatto.
❤️ L’amore è una playlist
L’amore è ballare
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: sapere cosa mi serve è tutto quello che mi serve.
Cura: preservare la tenerezza e le lune luminose.
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