Le ragazze, l'arte della gioia, noi
Le “vostre” ragazze non sono vostre: appartengono alle loro playlist su Spotify, ai buongiorno che scrivono alle amiche, alle letture che fanno e a come si portano nel mondo cercando di non tradirsi.
- Lei dice, principessa, ca un destino si può cangiare?
– Tutto si può cangiare, Stella
L’arte della gioia, Goliarda Sapienza
Ho finito di leggere “L’arte della gioia”. Sto facendo diversamente cose che pensavo non avrei fatto mai più. Sto scoprendo che il “nuovo” sta anche nel quotidiano. E che, “Stella, tutto si può cangiare”. E infatti ho rivisto per caso una foto di me “ragazza”. Chi sei stata ti dice chi sei? Non lo so. Ma la distanza, tenera e orgogliosa, che sento rispetto a chi ero e chi sono adesso mi dice che sì, sono ancora una ragazza. Ma prima di più.
Qualcosa resta uguale. Le ragazze, sempre, le ragazze. Vengono sempre prima loro, nel riconoscermi e nel riconoscerci. I nomi dicono chi siamo e qui io sono piccola, ho la schiena scoperta, i jeans che mi fanno sentire bene e sexy, il mio rossetto scuro preferito, sono nella mia stanza dove è accaduto tutto senza sapere niente e sto per andare a ballare all’ex Dogana con te che poi saresti partito per sempre.
Avrei imparato dopo a sentirmi sexy in modo diverso, che per sempre possono essere due giorni, che il rossetto lo scelgo in base all’umore, che posso non sceglierlo e che - “la mia ragazza” - è un’espressione che non mi contiene.
Le “vostre” ragazze non sono vostre: appartengono alle loro playlist su Spotify, ai buongiorno che scrivono alle amiche, alle letture che fanno, ai vestiti che scelgono, a quello che di voi piace a loro, al modo in cui vanno nel mondo provando a non tradirsi. Accorgersi dello sforzo è questione di sguardo e allenamento: vinciamo le Olimpiadi perché siamo costantemente alla prova. Non in gara. La competizione femminile è una chimera che non fa comodo a noi ed è per questo che mi scopro a provare tenerezza. Per te, per tutto quello che ancora non sai, per quello che saprai, per quello che stai scoprendo: per quella ragazza con la schiena scoperta che aveva gli stessi sogni di adesso.
La forma è il primo contenuto e l’arte della gioia - quella per cui ridi, piangi, aspiri, respiri, ti muovi - è una cosa rotonda “che non si incastra”.
“Tu mi vuoi su con te per piangere, per rifiutare la gioia di quei ragazzi. Tu aspiri a una cella vera, ma io ho fame!” scrive Goliarda Sapienza: la gioia è un fatto di fame. Dovrebbe essere un diritto ma non è uno stato garantito, né un conto già pagato. La gioia sta nel movimento che porta a rivendicarla. La gioia è finalmente mangiare con gusto, abitare il presente, sentire il mio corpo sul tuo corpo, sentire il vento dal finestrino, piangere e ridere forte: il potere delle donne gioiose è un potere ancora sconosciuto. Perché nel dovere (altrui) che chiamiamo abitudine (nostra) la gioia si strozza. Ed è per questo che parlare di donne gioiose significa scrivere ancora una volta di desideri: di come possiamo metterli al centro, di quello che ci serve, di quello che ci manca, di come dobbiamo organizzarci per far sì che a tutte la gioia sia possibile.
La gioia delle donne, come il loro riso e le loro voci, continua ad essere sovversiva: in Afghanistan le donne non possono più far sentire la loro voce in pubblico. La prima legge “sul vizio e sulle virtù” approvata dai talebani vieta loro - tra le altre cose - di cantare, recitare o leggere ad alta voce. Ma lo stanno facendo lo stesso rischiando la vita.
In India, lo scorso 15 agosto, decine di migliaia di donne hanno marciato per le strade per manifestare la propria rabbia per il femminicidio della dottoressa Debnath: una manifestazione su larga scala per reclamare la notte e mettere al centro il tema della sicurezza e della libertà delle donne in India.
A ogni tentativo di oppressione corrisponde un’esplosione di voci uguale e contraria. Nel mondo, come a casa. Trovare la propria voce e farne coro: costa fatica e veleno. Ma servirà. E serve partire, appunto, da casa.
Lina Mangiacapre, straordinaria artista femminista, insieme a sua sorella Teresa e Silvana Campese, nel 1970 fonda il collettivo femminista napoletano “Le Nemesiache” con l’obiettivo di fare politica attraverso l’arte e soprattutto a partire dal territorio. Così scriveva su Quotidiano donna:
Ma la mia lotta è ritornare a Napoli, riappropriarsi del mio territorio, delle mie origini, denunciare la doppia violenza che subisco come donna e come meridionale.
Il femminismo è anche critica e denuncia di ogni forma di sopraffazione e fin dall’inizio a Roma, come a Milano, per me era indispensabile che nell’autocoscienza ci fosse anche la denuncia del razzismo del nord rispetto al sud.
Il pericolo era ripetere lo stesso atteggiamento di sopraffazione della cultura maschile e considerare del donne del Sud come è avvenuto ad alcune prime riunioni, come quelle che non avevano coscienza.
Il sangue mi ribolliva e urlavo: “Io sono del Sud e non ti permetto di misurare la mia coscienza, parla della tua!”. Come la noia di alcune riunioni in cui si stava tra donne ma si parlava solo del rapporto con gli uomini ed io ripetevo, basta! Possibile che siamo così poco interessate l’una all’altra da non avere nulla da dirci, di noi stesse, dei nostri desideri. Questi uomini cacciati dalla porta rientravano dalla finestra, invadevano anche il nostro immaginario. Tornai a Napoli, non potevo trovare a Roma quello che cercavo, dei veri rapporti di amore e passione, di profondità culturale, di origini non perdute. Cercavo la Sibilla, cercavo una realtà mitica a cui collegare il significato della lotta presente e renderla storica, metafisica, eterna.
Si può fare politica senza indagare prima l’identità? Probabilmente sì. Ma il risultato è scarno, senza lungimiranza, monodimensionale. Donna solo madre. Donna solo lavoratrice. Donna e basta. Le identità, come i ruoli, sono molteplici. Eppure alcune spariscono dal discorso e della pratica politica.
L’intervento “shock” da 5-6 miliardi per la natalità, a cui starebbe lavorando il ministro dell’Economia Giorgetti per inserirlo nella Manovra 2025, mira a istituire un "quoziente familiare" che premierebbe i nuclei familiari più numerosi. Ma è di “premi” o di politiche che guardino alle identità - attuali e potenziali - quello di cui abbiamo bisogno?
Quello che ci sarebbe da fare ce lo dice probabilmente quello che già c’è. La situa, in sintesi, è la seguente: gli ultimi dati pubblicati da Eurostat mettono l’Italia all’ultimo posto tra tutti e 27 i Paesi dell’Unione Europea per il tasso di assorbimento sul lavoro di chi ha appena conseguito una laurea. Ci attestiamo su una percentuale del 67,5%, contro l’83,5% della media europea.
Un dato di fatto che, continua l’analisi dell’Ufficio statistico dell’Ue, penalizza in particolare le ragazze che si affacciano al mercato del lavoro terminato il percorso di studi all’Università, dove le donne oltretutto rappresentano la maggioranza del totale degli iscritti.
Se pure dovessi trovare lavoro dopo la laurea, giovane ragazza del mondo d’oggi, in Italia guadagnerai il 58% in meno rispetto al tuo collega uomo con lo stesso livello di istruzione. Il dato emerge dal nuovo rapporto dell'Ocse sull'educazione. Naturalmente non si parla solo dello stipendio di ingresso, ma il numero tiene conto anche delle differenze di carriera tra uomini e donne, con i primi più facilitati a proseguire l'impegno lavorativo in modo lineare e ottenere scatti di retribuzione.
Dunque, prima di “premiare”, occorre forse creare le condizioni per assicurare il “pieno sviluppo della persona umana”?
Essere una ragazza, ieri e oggi, rimane una sfida. Esattamente come rimanere gioiose nel riconoscerci tali. L’arte della gioia, la nostra. La nazionale femminile di pallavolo, strepitoso oro olimpico, si preparava alle Olimpiadi definendole “il torneo della baguette”. Sdrammatizzare per restare concentrate. Rimanere gioiose nelle cose difficili e importanti. Non perdere il focus nella soggezione delle cose più grandi. Fare il meglio che si può, insieme. Accettando, evolvendo, andando. E poi, scambiarsi le medaglie: riconoscersi è un fatto di gioia. E, l’arte della gioia, si impara con gli anni: siate felici delle ragazze che siete state.
“Quante volte ti sei innamorata?”
”Tutte le volte che c’è stato bisogno”L’arte della gioia, Goliarda Sapienza
📰 Rassegnami
Afghanistan: in Albania vertice donne afghane contro repressione talebani
A Tirana, in Albania, si stanno riunendo oltre 130 donne afghane con l’obiettivo di sviluppare una voce unitaria e lottare contro la repressione dei talebani. Ne dà notizia il Guardian. Il giornale britannico riferisce che ad alcune donne che hanno cercato di raggiungere il vertice dall’interno dell’Afghanistan è stato impedito di viaggiare, alcune sono state fatte scendere dai voli in Pakistan e altre sono state fermate alle frontiere. Altre donne hanno viaggiato da Paesi come l’Iran, il Canada, il Regno Unito e gli Stati Uniti, dove vivono come rifugiate.
Il grosso caso di abusi e molestie sessuali a Mollywood
Cioè nell'importante industria cinematografica del sud dell'India: ne parla un rapporto la cui diffusione era stata ostacolata per cinque anni.
Al Sant’Anna di Torino apre la “stanza per l’ascolto” gestita da un’associazione anti-abortista
I volontari del Movimento per la vita, dal 9 settembre, gestiscono il servizio finanziato con un fondo pubblico e fortemente voluto dall’assessore regionale Marrone (FdI). «Una lesione del diritto all’autodeterminazione delle donne», denuncia la senatrice Pd Valeria Valente.
Perché le donne laureate in Italia guadagnano la metà degli uomini
Una donna laureata in media guadagna il 58% di quanto prende un uomo con lo stesso livello di istruzione, in Italia. È il dato peggiore tra tutti i Paesi dell’Ocse, e conferma la difficoltà delle donne nel mercato del lavoro – per quanto una laurea resti un elementi che diminuisce le disuguaglianze.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Lina Mangiacapre
La vita di Lina Mangiacapre fu un ininterrotto e potente inno alla lotta contro l’ingiustizia, all’amore immenso per il Femminile Originario e per la liberazione delle donne. Femminista separatista e artista eclettica sempre alla ricerca dell’Armonia, dell’Arte e della Bellezza, la sua vita fu caratterizzata da un impegno, politico e creativo, instancabile.
Si laurea in filosofia e inizia l'attività di pittrice con lo pseudonimo di Màlina.[Nel 1970 fonda il gruppo femminista Le Nemesiache, in omaggio a Nemesi, dea della giusta vendetta, adottandone il nome e cimentandosi in differenti forme espressive.
Ha scritto moltissimo, tra romanzi, poesie, opere teatrali, saggi e articoli ma considerava soprattutto il cinema quale fine della propria ricerca perché, diceva, la “settima arte” riusciva a sintetizzare tutte le esperienze artistiche:
“Il cinema è soprattutto memoria. Memoria anche di realtà soppresse e volutamente cancellate. Un ritorno del valore della storia, uno sguardo sprofondato in modo profano e blasfemo oltre le soglie della morte. Orfeo con la musica del cinema valica le sponde dell’Averno (tempo) e porta alla luce.”
Nella produzione cinematografica del gruppo il protagonismo di Lina Mangiacapre è cruciale, per la scrittura, l’organizzazione, la regia e l’idea di confrontarsi con altre registe appartenenti al panorama filmico e politico a lei contemporaneo, creando scambi e occasioni di commistione reciproca.
La Rassegna del Cinema Femminista organizzata dalle Nemesiache proponeva un cinema fatto da donne per le altre donne, per affermare se stesse, la propria realtà, la propria storia e lottare contro lo sfruttamento, l’uso, la deformazione, la commercializzazione, la riduzione dell’immagine della donna. Senza contrasti e valutazioni diverse tra professionismo e non professionismo.
Lina Mangiacapre venne al mondo nella notte tra il 5 ed il 6 gennaio del 1946, nel paese campano di Sant’Antimo. Sin da adolescente, quando da tempo la famiglia si era definitivamente trasferita a Napoli, ebbe la capacità di provocare una sorta di “risveglio spirituale” soprattutto nelle donne, capace di condurre a una nuova o accresciuta consapevolezza interiore. Aveva infatti il grande dono di suscitare amore per la conoscenza, la verità, la bellezza; smuoveva le coscienze, apriva nuovi orizzonti, spingeva al desiderio, alla passione.
Nel 1972, con il suo metodo di una diversa autocoscienza, che aveva chiamato psicofavola, compose la prima opera femminista: Cenerella, trascritta poi per il cinema con l’omonimo titolo.
La psicofavola è una forma di liberazione psicoemotiva che intende porre, come storia e realtà della nostra dimensione, il femminile, riprendendo le tracce storiche dei contenuti culturali, volutamente confinati nella dimensione irreale del sogno o della fantasia o della leggenda.
Nel 1990 la Presidenza del Consiglio dei Ministri le assegna il Premio per la Cultura e l'anno successivo esce il suo secondo lungometraggio Faust/Fausta, tratto dal suo romanzo omonimo. Nel 1993 dirige, su sceneggiatura di Luciano Crovato, Donna di cuori. Nel 1996, per i 50 anni del voto alle donne, realizza per la Presidenza del Consiglio dei Ministri lo spot Da elettrici ad elette.
Scrive per diversi quotidiani e riviste, tra cui L'Unità, Paese sera, Quotidiano donna, Effe, Femmes en Mouvement. Come fondatrice delle Nemesiache e della cooperativa Le 3 Ghinee (successivamente associazione), ha autopubblicato alcuni libri e partecipato all'iter costitutivo della Casa Internazionale delle donne a Roma. È stata tra le collaboratrici de Il Foglio del Paese delle donne e tra le curatrici del premio di scrittura femminile Il Paese delle donne.
Muore il 23 maggio 2002 a Napoli.
L’amico delle Nemesiache Francesco Ruotolo, consigliere partenopeo della Terza Municipalità, uomo della resistenza, antifascista, amante di Napoli, sempre in prima linea nella lotta per i diritti e purtroppo prematuramente scomparso nel 2020, si impegnò per ottenere dal Comune di Napoli la targa posta il 1° aprile 2017 con cerimonia di intitolazione sul Belvedere Posillipo e dedicata a “Lina Mangiacapre, artista, femminista”.
🌱 La parola
Mansplaining
(Se siete tornate a lavoro e stentate a riconoscerlo, è lui):
La parola “mansplaining” è stata coniata nel 2008 nel corso di una discussione online originata dalla pubblicazione sul Los Angeles Times di un articolo della scrittrice e giornalista Rebecca Solnit intitolato Men who explain things, cioè “Uomini che spiegano cose”.
L’articolo di Solnit, un pezzo di opinione, racconta di un caso notevole di mansplaining subito dall’autrice. Solnit si trovava a una festa e il suo interlocutore era la persona che l’aveva organizzata, un ricco pubblicitario. Lui le disse: «Ho saputo che hai scritto un paio di libri». Lei, che allora, nel 2003, ne aveva scritti sei, rispose: «Ne ho scritti diversi, in verità». Poi lui le chiese di cosa parlavano – «nel modo in cui incoraggi il figlio di un tuo amico che ha 7 anni a parlare di come suona il flauto» – e lei gli rispose citando River of Shadows, il suo libro sul fotografo Eadweard Muybridge, che all’epoca era uscito da poco.
Sentendo il nome il nome di Muybridge, l’uomo la interruppe per chiederle se aveva sentito parlare dell’importante libro su di lui che era appena stato pubblicato: senza saperlo stava citando proprio il libro di Solnit – che non aveva letto – non potendo pensare che lei ne fosse l’autrice. In generale a molte donne è capitata una situazione simile, oppure una in cui si sono ricevute spiegazioni non richieste. Riceverle può essere umiliante, dato che è una cosa che fa sentire che il proprio valore non è riconosciuto e la propria intelligenza non è stimata.
La parola “mansplaining” è formata da “man”, cioè “uomo”, e il verbo “explain”, che significa “spiegare”. La scrittrice Violetta Bellocchio ha proposto come traduzione italiana “spiegazione virile” e l’espressione “Amico Spiegazione” per gli uomini che fanno mansplaining, ma né queste formulazioni né altre hanno finora avuto successo.
Ovviamente non sono sempre e solo gli uomini a fare mansplaining nei confronti delle donne: per questo negli Stati Uniti si è cominciato a parlare anche di “whitesplaining“, quando un bianco, uomo o donna che sia, spiega qualcosa a un nero con lo stesso atteggiamento paternalistico e arrogante, anche se velato da una certa condiscendenza. Capita anche che il comportamento da mansplainer sia tenuto da persone di una certa età verso persone più giovani, anche colleghi di lavoro.
🍸 Coraggio liquido
Le imprenditrici di GinLovers, questo il nome del gruppo, provengono da ambiti professionali diversi, con background che vanno dalla giurisprudenza alla filosofia, dall’economia alla cucina e che nulla hanno a che fare con vini e distillati. Hanno costituito la società nel giugno scorso e a inizio dicembre hanno imbottigliato il primo lotto di “Fil de gin” che, come spiegano le amiche e colleghe di GinLovers, è una miscela di otto botaniche “che rappresentano la nostra immaginazione, la volontà di creare qualcosa insieme e il pizzico di follia che ci ha spinto a questa avventura”. Olfatto evidente di resina del ginepro, erbaceo e agrumato. In bocca si palesa subito il ginepro, la fragranza della mandorla crea una sensazione tattile morbida e vellutata, la foglia di fico e il sambuco rimandano all’estate insieme al limone antico del Garda.
❤️ L’amore è una playlist
A colazione:
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: ma tutta di traverso e tutta intera.
Cura: scrivere molto, pensare meno, pasta e margarita.
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Anche io ho iniziato L'arte della gioia quest'estate, ma devo ancora finirlo. Che viaggio! Grazie per averne scritto (il podcast di Missconosciute su Sapienza l'hai sentito? A me è piaciuto davvero molto!)