Vigilia
Disattendere le attese e vederci benissimo: l'amore è blu e sa di salsedine. Appunti di fine anno per un mondo nostro.
La vigilia di Natale in Puglia ha a che fare con il mare. Si fa davanti all’azzurro piatto che si confonde con il cielo e con il rosso Campari spritz. Il vento taglia il collo e i calici di plastica che invadono i lampioni, le panchine, il brusio delle pellicce che si muovono tra l’odore di fritto e il profumo di Dior.
La fine si celebra sempre esorcizzandola: serve disinfettare e serve salsedine. Il corpo si fa nuovo, diventa grande, rinvigorisce.
La certezza che tutto, ma proprio tutto, passi diventa conforto e carezza. Passare, la differenza la fa attraversare. Chi attraversa e chi subisce? Chi si prende cura e chi riceve? Chi resta e chi fugge? E da cosa esattamente si fugge? Conta cosa rimane. E qualcosa rimane sempre.
La salsedine anche dopo la doccia lascia il sapore del mare. Se hai gusto, lo riconosci e ne fai monito. Acqua siamo. Da lì veniamo e a lei tendiamo. Acqua, femmina e placenta. Onde e potenza. Bagnarsi o lasciarsi asciugare è un fatto di scelta. Ma il 24 dicembre non ci pensiamo. Si sta con le sigarette in mano a inventarsi l’amore. In mezzo le tavole apparecchiate, i riti rodati, le tradizioni viscose che abbracciano e stringono. La vigilia è attesa. Disattenderla resta la mia cosa preferita.
Disattendere le attese, deviare i percorsi, decidere quando è il momento dell’irruenza e quando quello della pazienza: dovete farlo da sole. Non deve spiegarvelo nessuno. Lo sapete da voi.
La cura è un fatto di moltiplicazione che va deciso, indirizzato: non si distribuisce a casaccio, non vale a prescindere, non vi rende necessariamente persone migliori. La cura “trainata”, casuale e non decisa è un alibi. Esattamente come l’arrendevolezza ingiustificata: non vedi gli altri. Vedi solo te.
Cura è scegliere, decidere, ammettere, riconoscersi, volere, desiderare, essere mancanti ma ostinate, essere rotonde e insieme spigolose, decidere di attraversare e non di “passare”. La vostra cura, la nostra cura è potere. “Cura di sé come processo collettivo” recitava un cartello di un 8 marzo di qualche anno fa.
“Il femminismo è la cura” gli rispondeva un altro. Ci ripenso ancora. Femminismo è cura perché, di fatto, si prende cura di me e di te: lo fa spostando il centro per rimetterci al centro.
Si tratta di un processo intimo e politico insieme, lo stesso che mi fa sedere davanti a un calice di vino a stilare una lista di 25 desideri.
Desiderio, dal latino sidus, sideris, che significa stella. Dunque "desidera", da cui "desiderio", significherebbe, letteralmente, "condizione in cui sono assenti le stelle". Percezione di una mancanza e, di conseguenza, sentimento di ricerca appassionata.
Non ci serviamo mancanti. Ci serviamo “in ricerca” ma intere, presenti nella presenza. I desideri servono a disegnare la rotta, poi abitarla e ampliarla con desideri sempre nuovi. Un mondo a nostra misura esiste se lo costruiremo. I diritti esistono finché li difenderemo. L’amore, pure, esiste finché non ci rinunceremo. E non ci rinuncerò solo perché si confonde: ci vedo chiarissimo.
Non è mancanza ma potenza. Non è labirinto ma rotondità. Opacità che comunque illumina. Fissa. Sposta e ricentra. Meno di questo non voglio niente. Forse tre Roku Gin. Un cappotto, un paio di occhiali scuri, il vento tra i ricci. La pelle abbronzata e una piazza dove sentirmi a casa.
Buone feste, prendetevi cura di voi.
Ai primi sintomi di adolescenza, quando si cominciava a frequentare, con quella gravosità affranta, la profondità, mia madre ricorreva a uno strumento irritante: minimizzava. Da adulto, ho compreso. Mi è parsa l’unica strada. Minimizzare. Non è utile, ma è difficile rintracciarne altre. Oggi l’educazione dei figli è una missione. Per la generazione di mia madre era solo un altro fardello che la vita imponeva. Eppure, era tutto amore. Ma l’ho capito dopo. E quando ho avuto le parole per dirglielo, lei non c’era più. Per questo mi piace pensare, con un’ingenuità da bambino profondo, che nell’aldilà si possa vedere un film. Per dire quello che non ho potuto dire. E per chi può, ho un solo consiglio: ditelo. A costo di essere ridicoli, sentimentali e pieni di lacrime. È necessario, per diventare grandi, passare attraverso le porte del ridicolo e del pianto. Il pianto degli adulti.
Paolo Sorrentino, Lettera a mia madre
📰 Rassegnami
Un libro sotto l’albero, i consigli della redazione di Alley Oop
Decidere il libro giusto da regalare è un’arte: i libri, come i profumi, richiedono intuizione e conoscenza, sono una dichiarazione di sé all’altro. La frase “Ho scelto questo per te”, pronunciata o sottintesa, attiva una relazione, che rivela sempre qualcosa di chi dona e di chi riceve. Un interesse già noto che si contribuisce a coltivare. O una speranza che si vuole accendere. Regalare un libro implica l’aspettativa che quella storia, proprio lei, produca un effetto su chi la leggerà. Per questo ognuno di noi ha i suoi “suggeritori” privati: persone di cui si fida, per comunanza di gusti o per semplice stima, in genere lettori forti che diventano punti di riferimento. Il mio consiglio, tra gli altri, è imparare a dire “Caro stronzo”.
La vittimizzazione secondaria è violenza: cosa racconta il caso Grillo dei processi per stupro
Poiché è facile riscontrarla in ogni passaggio dell’iter giudiziario, la vittimizzazione secondaria è un forte deterrente alla denuncia della violenza sessuale e domestica: ciò che infatti risulta particolarmente grave, nell’episodio del processo a Grillo e i sui compagni, è la conseguenza diretta che questi interrogatori hanno su chi, avendo subìto una violenza, intende denunciare o si trova già coinvolta nel processo. Ne ho scritto per The Wom.
In Italia i dati sulle persone minori allontanate giuridicamente dalle famiglie di provenienza sono insufficienti e descrivono un paese in cui il modello del legame di sangue viene difeso contro ogni logica, anche quando il costo per le singole vite e per la società diventa molto alto.
“Fumetti per bambin*”: perché vi fa così paura il linguaggio inclusivo?
Un semplice cartello ha scatenato polemiche e contestazioni: lo specchio di un disagio profondo rispetto a un mondo che sta cambiando e si fa fatica a comprendere.
Il presepe con due mamme
Siamo a Mercogliano in provincia di Avellino. L’ha realizzato don Vitaliano Della Sala, parroco della Chiesa SS. Pietro e Paolo in Capocastello. “La realtà è che oggi ci sono altri tipi di famiglie. Negli oratori, al catechismo, arrivano bambini figli di divorziati, di single, ma anche di coppie gay. E noi li dobbiamo trattare tutti allo stesso modo, con rispetto. D’altra parte è lo stesso Papa Francesco a dire che la Chiesa non deve escludere nessuno. Siamo nel 2023 e nel mio presepe ho voluto mettere una coppia arcobaleno perché anche loro sono un tipo di famiglia. Non c’è più una famiglia tradizionale. E dobbiamo tenerne conto perché Gesù Cristo si incarna pure per loro”.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Elena Cecchettin
L’Espresso ha scelto Elena Cecchettin, la sorella di Giulia, come persona del 2023. La motivazione è perfetta:
Perché le sue parole sul patriarcato e la cultura dello stupro di fronte a centodieci vittime di femminicidio sono una lucida diagnosi. Perché è esattamente ciò di cui parla a fare sì che ogni donna uccisa, stuprata, molestata venga considerata una vittima casuale. Assassinata, violentata, ingiuriata per effetto di una tragica coincidenza di circostanze fortuite che generano il mostro di turno. E non invece grano di un rosario di crimini che hanno radice, essenza, tratti e fisionomia comuni. Dentro e fuori le case, al lavoro e per strada. In tutti i luoghi in cui il genere è vissuto come una sorta di discrimine razziale, integrato nella cultura dominante che autorizza il mortificante divario che una pur sacrosanta campagna sul linguaggio scalfisce ma non demolisce.
Con pacifica determinazione, Elena Cecchettin ce lo ha detto. E nel momento in cui ha impresso al proprio dolore lo stigma di una responsabilità collettiva, nel teatrino della rappresentanza è diventata immediatamente divisiva. E non solo per una questione di cliché non rispettati. La sozzura venuta fuori dal putrido retrobottega della politica e la danza dei saltimbanchi da talk show non aveva come fine ultimo quello di dettare un canone estetico, se non etico, al lutto. Puntava invece a ristabilire l’ordinaria regola della prevaricazione eletta a legge.
🌱 La parola
Incompetenza strategica
Come già scriveva Roberta Cavaglià qui (
è la sua newsletter oggi), su TikTok e Twitter l’hashtag #weaponizedincompetence colleziona milioni di visualizzazioni.Una piccola rivoluzione che è nata quasi per gioco in reazione ai numerosi video di padri e mariti che fingono di non essere capaci di svolgere semplici lavori domestici (o meglio, di non avere nessuna intenzione di imparare). Ma come individuare con precisione l’incompetenza strategica e come sconfiggerla?
“Non sapevo esistesse una parola per definirlo finché non l’ho letta su TikTok, ma so che ho sempre odiato questo tipo di atteggiamento” spiega la content creator Cindy Noir in uno dei suoi video. La parola in questione è “incompetenza strategica” e descrive
L’azione di fingere di non saper svolgere un compito per scaricare la responsabilità su qualcun altro (o molto più spesso, su qualcun’altra).
Uno studio della società di analisi Gallup realizzato a inizio 2020 sottolinea che nelle coppie di millennial il fattore che determina la divisione del lavoro domestico è ancora il genere.
Mariti, compagni e neogenitori tendono infatti a ricadere negli schemi che hanno visto mettere in atto dai loro padri o dai loro nonni.
“Credo che [l’incompetenza strategica] dipenda molto da come sei stato cresciuto”, conferma l’imprenditrice di origine latinoamericana Nateli De Lara, che nella sua esperienza ha dovuto fare i conti sia con gli schemi maschili interiorizzati dal fratello e dal compagno che con il modello di madre accomodante e iperprotettiva che è tipica di certe culture.
Se infatti lo stereotipo della mamma chioccia rende tutto più piacevole e pittoresco, la verità è che l’incompetenza strategica non è altro che “una maniera passiva aggressiva di rifilare un compito a una persona che non rispetti abbastanza da voler aiutare" ricorda la psicologa.
🍸 Coraggio liquido
Veniamo dall’acqua. Ogni singola goccia di Isle of Harris Gin è prodotta nel piccolo villaggio di Tarbert sull'isola di Harris, in Scozia. Una delle cattedrali senza tempo del whisky. In questa bottiglia di coraggio liquido il distillato di ginepro è infuso con Sugar Kelp, un'alga saccarina raccolta nei laghi marini locali. Imbottigliato a mano, il Gin Isle of Harris è uno spirito morbido e complesso: tutto quello che serve.
❤️ L’amore è una playlist
Christmas lights, la situa:
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: “a te & famiglia tesò”
Cura: viaggiare in macchina, ridere, sapere chi ti aspetta, pelle luminosa, sbrilluccichio sparso. Cin!
🥂Vuoi sostenere questa newsletter?
Puoi farlo parlandone, condividendola, inoltrandola a chi c’ha la stessa autodiagnosi oppure offrendomi il gin tonic che aiuta a ispirarla con una donazione libera. Parliamo di femminismi senza budget ma - intervistare, girare, fare, leggere, approfondire - è più facile con il tuo sostegno.
Ti hanno girato questa mail per caso o per fortuna? Puoi riceverla ogni sabato nella tua casella mail iscrivendoti qui: