"Voglio dire alle donne di questa nazione che il fatto di essere sempre o quasi sempre sottovalutate è un grande vantaggio, perché sì, spesso non ti vedono arrivare. L’8 marzo non è una giornata di rivendicazione di quello che gli altri ci devono concedere, ma una giornata di orgoglio e consapevolezza di quello che possiamo fare, piaccia o no agli altri"
Spesso mi chiedo dove stiamo andando, cosa stiamo chiedendo e che lingua stiamo parlando. Lo scorso 7 marzo, alla vigilia della Giornata internazionale della donna, la premier Giorgia Meloni ha parlato così e io ho pensato che, se un alieno fosse arrivato sul nostro pianeta in quel momento, avrebbe pensato “è giusto”.
Come stiamo usando le nostre parole? Sono al servizio delle nostre battaglie o le stanno ingabbiando? Il femminismo può davvero essere pedagogico? L’esperienza arriva prima a confermare o tradire la teoria. Ci restano le parole per nominarla. Potenti quando sono semplici. Le stiamo usando a nostro servizio o a dispetto di?
In un libro illuminante - L’infinito singolare (che ho scoperto leggendo Scrivere con l’inchiostro bianco di Maria Rosa Cutrufelli) - la semiologa Patrizia Violi si chiede: il riflesso della differenza sessuale nella lingua, come l’esistenza dei generi grammaticali, è un semplice accidente o è un concreto bisogno espressivo? Il linguaggio, osserva Violi, è il luogo in cui la soggettività prende forma e, come la cultura in genere, dà voce a un solo soggetto apparentemente neutro e in realtà maschile.
È anche per questo, argomenta l’autrice, che la parola delle donne è spesso così difficile: non perché le donne siano inadeguate al linguaggio, ma perché è il linguaggio inadeguato alle donne. Al loro bisogno espressivo.
Io lo sento forte.
Nel 1972 , quando il neo-femminismo muoveva i suoi primi passi, lo scrittore e critico d’arte John Berger scriveva:
Gli uomini guardano le donne. Le donne si guardano essere guardate. Ciò determina non solo la maggior parte dei rapporti tra uomini e donne, ma anche tra le donne e sè stesse. La parte della donna che si osserva è maschile, la parte che si sente osservata è femminile.
Una ragazza di 19 anni, guardandomi nuda negli spogliatoi in palestra, mi ha detto: “io voglio il corpo così: magro, le tette normali, il culo grosso”. Dopo si è scattata quattro foto: due per monitorare i fianchi, due per l’interno coscia. “Le donne come paesaggio, gli uomini come paesaggisti: questo il nostro passato, remoto e recente”. Cutrufelli c’ha ragione. Se la teoria e il linguaggio non ci prevede, dobbiamo parlare, scrivere e guardare secondo un ordine non previsto: la nostra vita. La lingua dell’esperienza non è addomesticata.
Pur di evadere dalla prigione di un linguaggio non mio, recisi il legame dell’obbedienza. Diventai una specie di fuorilegge. A fatica e spesso con dolore, però imparai a spogliarmi di ogni velo. Imparai anche a guardarmi attorno e in quel mondo nuovo, non più segnato dalla prudenza emotiva, scoprì di non essere sola.
Maria Rosa Cutrufelli, Scrivere con l’inchiostro bianco (Iacobelli editore, 2018)
Scrivere di sé rappresenta un nuovo paradigma della conoscenza e, allo stesso tempo, un atto politico.
Ho sempre desiderato scrivere la storia della mia vita. E sapete perché? Perché ci sono donne che incrociano le braccia e dicono: “Io ho passato questo e quello e non so come andare avanti e sento che non ce la faccio più”. Ma se quelle donne leggono le nostre storie e scoprono che noi non abbiamo mai incrociato le braccia…Impareranno che forse è meglio darsi da fare e lottare, o almeno cominciare a provarci.
Nothemba Ngcwecwe, Not the End of the World (Kagiso Publishers, 1997)
Buon 8 marzo sempre. Sempre a parole nostre.


📰 Rassegnami
La scelta delle donne
L’8 marzo Il Sole 24 ORE ha dedicato una serie di iniziative editoriali alle scelte delle donne, nel solco del lavoro portato avanti da Alley Oop - Il Sole 24 Ore. In edicola e online per lottare come si può, dove si può, insieme. Oltre alle mie parole, riporto qui quelle di colleghe preziose: leggerle è stato esercizio di analisi, conoscenza, curiosità, sapere. Cogliere le loro personalità negli incisi, sentire dove l’energia batteva più forte e dove la rabbia si infilava nell’inchiostro stampato: un’emozione che non dimenticherò e che mi conferma una certezza. La lotta è sempre condivisa.
Quando le donne fanno un passo indietro
Ci vuole coraggio, ci vuole consapevolezza, ci vuole amore per sè stessi. Ci vuole soprattutto la libertà dal potere per decidere di lasciare all’apice. […] Le donne che sono arrivate ai vertici hanno vissuto sulla propria pelle cosa significa occupare certe posizioni e la risposta che si sono date è che a queste condizioni non ne vale la pena. Il mondo (politico, economico, istituzionale) ha bisogno delle donne, ma se non cambia sè stesso in un’accezione più sostenibile (per tutti) non le avrà. Monica D’Ascenzo mette in discussione il concetto di potere.
8 marzo: il lavoro resta il grande tradimento
Nel nostro Paese ha una occupazione solo una donna su due. Tra le lavoratrici meno contratti stabili, più part-time e precarietà. Gli effetti si fanno sentire su reddito (nel settore privato il gender pay gap è del 16,5%) e pensioni (solo il 44% del totale). Chiara Di Cristofaro e Manuela Perrone lo scrivono chiaramente: dobbiamo vedere l’elefante nella stanza, prima che sia troppo tardi.
Iran, le donne lottano per la libertà dell’intero Paese
Fare spazio, passare il megafono, riconoscere il proprio privilegio per alzare il volume delle voci a cui non è riconosciuto diritto di esistere: in Iran l’istruzione delle donne sta guidando la rivoluzione. Ho raccolto tre voci preziose che conoscono le sfumature della storia: grazie a Pegah Moshir Pour, Darya Majidi, e Fariba Karimi.
Lavoro, i costi di cura dell’infanzia spingono le donne alle dimissioni
Spese elevate per le famiglie non solo in Italia, ma da noi mancano le misure messe in atto in altri Paesi per supportare l’occupazione femminile: Maria Paola Mosca fa il punto.
Gustamundo apre un ristorante multietnico per dare lavoro a migranti e rifugiate
Sono cinque donne diverse, con tradizioni differenti ma unite da un filo sottile: quello dell'accoglienza e della rinascita. La loro storia si incrocia con quella del ristorante romano multietnico Gustamundo, dove alcune di loro stanno già lavorando mentre altre inizieranno oggi, 8 marzo. Nel parco della Caffarella a Roma verrà inaugurato infatti El Pueblo con Gustamundo: 70 metri quadri, pareti colorate, un murales di Maupal e uno slogan “un dolce che cambia la vita” per dare il via a nuovo un locale gestito autonomamente da donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo. Lo racconta Livia Zancaner.
👉🏻 Per leggere il dossier completo, qui.
Violenza contro le donne: l’Italia non sa raccogliere i dati
La convenzione di Istanbul impone al nostro Paese di raccogliere dati che riguardano la violenza di genere. Ma questo avviene in maniera incostante e incompleta, non permettendo così di avere un quadro esaustivo del fenomeno nella sua complessità e articolazione. “È importante che le cose cambino” scrive Giulia Greppi.
8 marzo, ecco i libri che ci hanno aperto gli occhi
Il momento epifanico in cui ciascuna di noi si è resa conto di non essere l’unica a provare certe sensazioni.
Perché l’8 marzo non può essere un privilegio di poche?
Ne scrivo qui:
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Alba de Céspedes
Alba de Céspedes è stata – e continua ad esserlo nelle sue pagine – una scrittrice italiana potente e dimenticata: troppo a lungo sottovalutata ed etichettata come letteratura femminile, la sua penna è in realtà affilata e tagliente. Estremamente capace di indagare pulsioni e contraddizioni.
Figlia dell’ambasciatore cubano in Italia Carlos Manuel de Cespedes y Quesada – che sarà anche nel 1933 per pochi mesi presidente della repubblica dell’Avana – e della romana Laura Bertini Alessandrini, nacque l’11 marzo a Roma, ma considerò sempre la sua vera patria Cuba, di cui il nonno era stato nel 1868 il primo presidente, dopo averla liberata dagli spagnoli e prima di essere assassinato nel 1874 in una imboscata.
A 23 anni pubblicò sul Giornale d’Italia il suo primo racconto che, notato in ambito giornalistico, le valse la collaborazione a diverse testate quali Il Piccolo, Il Mattino e Il Messaggero. L’anno seguente, nel 1935, comparve la sua prima raccolta di racconti brevi, L’anima degli altri. Il suo primo romanzo, Nessuno torna indietro, venne pubblicato nel 1938 da Mondadori che dovette faticare non poco per evitare che la censura del regime fascista ritirasse dalle librerie quello che, in breve tempo, sarebbe diventato un best-seller internazionale.
In questo romanzo la scrittrice raccontava, sullo sfondo dell’Italia fascista, le vicende di otto ragazze, diverse per estrazione sociale, provenienza geografica e atteggiamento, unite dal microcosmo di un elegante pensionato per universitarie. De Céspedes aveva “osato” dar voce a una femminilità libera, conscia di sé e delle proprie risorse, desiderosa di ridefinire i contorni della propria esistenza ed estranea ad ogni idea di “angelo del focolare”.
La famiglia de Céspedes era politicamente impegnata, animata da una solida convinzione progressista e antifascista. Alba stessa fu partigiana, militò con il nome fittizio di Clorinda (la celebre donna guerriera narrata dal Tasso nella Gerusalemme Liberata), fu voce sovversiva di Radio Bari nella trasmissione L’Italia combatte e autrice di diversi articoli militanti pubblicati sui principali quotidiani nazionali. De Céspedes invitava le donne a combattere la propria battaglia contro il fascismo attraverso una ribellione ferma ma silenziosa, fatta di piccoli, indispensabili gesti. Diceva loro, ad esempio, di cucire stoffe per i soldati, di ritardare l’invio di un messaggio, di boicottare il regime, insomma, con ogni mezzo. Nei suoi interventi dimostrava che la la libertà era una lotta dura, faticosa, ma soprattutto quotidiana. Dalla parte di lei è il testo dove tutto questo emerge. Una storia di amore e rivoluzione che, insieme a quella di Quaderno proibito, mi ha rubato ore di sonno, pensieri e cuore. Leggetela.
🌱 La parola
Sessismo ambivalente
Il sessismo, tradizionalmente, viene identificato secondo la definizione che ne fornisce la linguista femminista Deborah Cameron, ovvero “un atteggiamento pregiudiziale o un comportamento discriminatorio, basato sulla credenza che le donne siano inferiori agli uomini”. Alla sua forma esplicita, se ne affianca un’altra più sottile: il sessismo ambivalente.
All’apparenza benevolo e innocuo, è in realtà mascherato, difficile da interpretare come paternalismo anche dalle donne stesse: perpetua la gerarchia di genere e sostiene il sistema ideologico basato sulla complementarietà, che relega le donne nei ruoli tradizionali e indebolisce le resistenze femminili.
Nelle relazioni affettive e nell’approccio al sesso, il sessismo benevolo cresce e solidifica le sue radici: secoli di repressione della sessualità femminile hanno creato l’idea di una donna naturalmente portata alle emozioni, al trasporto, alla relazione, al desiderio univoco di famiglia e matrimonio. Creature angeliche in grado di dominare istinti e desideri, capaci di assecondare l’istinto maschile che – per definizione – sarebbe irrefrenabile e più elementare: questo quadro distorto viene ribaltato in positivo facendo credere alle donne che siano loro quelle più evolute e capaci di controllarsi. Perciò, le donne che non lo sono, vengono denigrate e guardate con sospetto.
Il sessismo benevolo, fuori e dentro le relazioni, toglie alle donne la loro umanità e, come scrive come scrive Giulia Blasi in Manuale per ragazze rivoluzionarie (Rizzoli, 2018), “sposta la loro esperienza su un piano di alterità, di differenza, di seperazione dal mondo, ma anche dai diritti di base”: per questo, riconsocerlo è il primo passo per liberarsene.
🔥 Compiti per il weekend
15 anni di desiderio: il LuchaParty. Dove? Casa delle donne Lucha y Siesta (Via Lucio Siesto 10, Roma).
Sin dalla sua nascita la Casa delle Donne Lucha y Siesta è diventata un luogo di riferimento per il contrasto alla violenza di genere. Questo obiettivo stesso è il motivo per cui si è formata la comunità che ha rimesso a valore uno stabile abbandonato da decenni: le donne che quel giorno hanno varcato il cancello di via Lucio Sestio venivano dal movimento per la casa, dal femminismo, dal contrasto alla violenza e avevano capito che l’autonomia delle donne e delle loro scelte veniva spezzata proprio all’intreccio di queste istanze. Al momento di dover andare via di casa per uscire dalla situazione violenta, le alternative – le case, i posti per vivere – erano terribilmente insufficienti.
Lucha y Siesta è per questo un luogo irrinunciabile: la violenza di genere è trasversale, sistemica, strutturale e stratificata, i posti per l’accoglienza sono ancora “terribilmente insufficienti” così come i luoghi, materiali e simbolici, per praticare alternative possibili e necessarie.
Dopo 15 anni Lucha y Siesta è ancora qui e festeggia il suo compleanno: esserci, celebrare, presidiare. Qui i dettagli sull’evento.
🍸 Coraggio liquido
Disonesto gin: un nome che è una garanzia. Regalatelo a chi sapete. Timido e gentile, rotondo ed equilibrato. Prodotto in piccoli lotti, con passione e romanticismo: per questo, esclusivo. Figlio di Puglia, “lascia i sensi liberi di farsi sedurre per trasformare le infinite proposte del territorio in codici segreti per l’unicità”. OKKKKK.
❤️ L’amore è una playlist
Cerchi la pace ma non sai esporre un armistizio.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: la gioia è nell’andare, mai nell’arrivare.
Cura: avere ragione.