“I care”: avere a cuore, interessarsi. Sono queste le parole attraverso cui Don Lorenzo Milani, sacerdote innovatore e illuminato, nel 1956 fondò una scuola diversa nel paese di Barbiana, in provincia di Firenze. Popolare, dedicata ai ragazzi più poveri, giovani operai e contadini.
2023: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni arriva a Caivano dopo la denuncia sullo stupro delle due 13enni, sporta dopo un messaggio con cui il fratello di una di loro era stato avvisato di quello che succedeva. “Qui lo stato ha fallito” ha affermato la premier. A risponderle, prima della sua visita, è Eugenia Carfora, dirigente della scuola superiore “Francesco Morano”:
A Meloni direi: ci dia gli insegnanti più bravi. Solo così salveremo i giovani del Parco Verde dal loro destino. Quando arrivai qui questa scuola era 'sgarrupata' come il centro sportivo 'Delphinia', teatro delle violenze. Oggi, da quelle rovine, è nata una 'palestra' per preparare alla vita reale i ragazzi del rione. Ho fatto rete con colleghi di istituti di tutta Italia molti dei quali sono venuti di persona a verificare i nostri progressi. Siamo passati da una dispersione del 50% ad una, quasi fisiologica da queste parti tra abbandoni e bocciature, del 25 ma serve altro. Io credo ancora che la scuola possa essere una diga a quanto è accaduto dove non si debbano offrire scorciatoie o facili attestati professionali ma laboratori di vita dove maestri, magari i migliori maestri, possano aiutare quei ragazzi a diventare uomini. Magari uomini migliori.
Lo Stato ha fallito in un posto preciso: la scuola. Il luogo in cui non solo si cresce. Ma si diventa. Per farlo, servono non solo competenze. Ma persone messe nelle condizioni di poter prosperare e far prosperare.
“La scuola è una comunità” mi scrive Ivana Sciacovelli, prof.ssa di lingue. “I docenti sono un gruppo di esseri umani accomunati dall’obiettivo di permettere, agevolare e supportare l’educazione e la formazione umana e culturale di altri individui. Si tratta di giovani, spesso minorenni, che in tutti i casi stanno attraversando gli anni più luminosi e anche più bui della loro vita. Cosa possiamo noi, esercito di adulti ormai lontani da quegli anni, per loro?”. La risposta è chiara: “accompagnarli alla scoperta di sé stessi, e cioè del loro mondo interiore ed esteriore”.
Possiamo sottoscrivere con studenti e famiglie, al momento dell’iscrizione a scuola, il “Patto educativo di corresponsabilità” ma dobbiamo anche fare in modo di viverlo e condividerlo, questo Patto. Dobbiamo portare in classe tanto la letteratura greca di Saffo quanto un monte ore di educazione sessuale, che coinvolga studenti e studentesse in momenti di confronto e apertura alle diversità. Dobbiamo certamente proiettarli al mondo del lavoro, a “chi o cosa vogliono diventare” ma anche fornire loro una educazione emotiva che tenga conto delle soft skills, di “chi sono e come vogliono essere” Possiamo avvicinarli alle opere di grandi artisti e musicisti ma dobbiamo dar loro anche del tempo per sessioni di arte di gruppo, magari in locali scolastici o del paese/città a questo scopo adibiti. Studiare educazione civica come disciplina trasversale, ma accompagnarli in concreti progetti sociali al di fuori della scuola (penso alla cura del loro territorio o a progetti contro il bullismo).
I “possiamo” che i docenti possono e vogliono mettere in campo non mancano, “a latitare sono i compensi adeguati alle responsabilità di cui ci si deve far carico” sottolinea Laura, prof.ssa di Lettere: gli insegnanti italiani guadagnano meno dei colleghi dell'Unione europea e, a parità di titolo di studio, il loro stipendio registra comunque un divario rispetto a quello degli altri dipendenti della pubblica amministrazione. Questo è quello che emerge dai dati pubblicati nel rapporto 'Education at a Glance 2022' a cura dell'Ocse e dal rapporto semestrale Aran sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti. “La retribuzione è gratificazione, ma è anche il riconoscimento della responsabilità e del ruolo dell’istituzione scuola - spiega Libbi - Un paese che non paga i docenti in maniera adeguata è un paese che, semplicemente, sottovaluta il ruolo dell’istituzione scolastica all’interno della società. È un paese che, come ha dimostrato, non esita a lasciare indietro istruzione, sanità e ricerca, con ripercussioni gravissime sulla vita di tutt3. Tra i compiti della scuola, per esempio, c’è, a mio avviso, quello di dare gli strumenti per capire quanto questo sia un errore grave.
Le idee ci sono, la voglia anche: tantissimi docenti giovani e meno giovani, precari e neoimmessi in ruolo, si stanno formando (spesso a proprie spese) e stanno sperimentando. Portano a scuola metodologie innovative, collaborazioni che derivano dalle loro reti, rischiano, azzardano, moltiplicano il carico del loro lavoro. Fanno rete, e questo è importantissimo. Ma con chi fanno rete? Spesso, la scuola non riesce a offrire il supporto che sarebbe necessario, e che invece è offerto da associazioni e organizzazioni territoriali: senza l’importantissima azione di questi soggetti, il carico del lavoro su3 docent3 sarebbe impossibile da sostenere. Spesso, 3 docent3 fanno rete fuori, nelle assemblee, nei luoghi dell’attivismo. Tuttavia, è triste che la natura di queste sperimentazioni sia accessoria e la responsabilità sia delegata alla coscienza del singolo. Non a caso si parla sempre di comunità educativa: la responsabilità dell’educazione è ripartita tra più soggetti, tra cui le famiglie e il territorio. Tuttavia, l’istituzione scuola non riesce a coordinare l’azione di questi soggetti. Troppo spesso questi processi, anziché essere guidati e facilitati dallo Stato, avvengono spontaneamente e aggirando complicanze e lungaggini burocratiche.
“Da terapista, vorrei una scuola che sia inclusiva e con docenti che conoscano la disabilità e i DSA” specifica Federica D'angelantonio. Le fa eco il prof. Francesco Bonfanti, “e servirebbe un insegnante di sostegno fisso per ogni classe (almeno alle medie) per educare alla relazione con l’altro”.
Una scuola che sia centrata più sulle persone, meno sui programmi: “alle elementari mi avevano messo all’ultimo banco perché mi distraevo e non seguivo, quindi infastidivo le insegnanti che per ignorarmi meglio hanno pensato di mettermi in fondo. Il fatto è che non riuscivo a concentrarmi perché ero miope, ma nessuno se ne era mai accorto, per loro avevo un brutto carattere. Ho pensato di essere meno intelligente degli altri per 5 anni e che prima o poi mi avrebbero mandato in una scuola per bambini con ritardo. Mi chiedo come sia mai stato possibile che quelle persone avessero la responsabilità di formare bambini così piccoli” - racconta la giornalista Fiorella Lavorgna - “da adulta ho scoperto di essere dislessica e disgrafica, da ancora più adulta di non avere immaginazione visiva (non vedo immagini nella mia testa) e questo ha un impatto sulla mia memoria. Nessuno ovviamente se ne è minimante accorto”.
Immaginare una scuola diversa non solo si può. Ma è necessario. La cultura si cambia dalla cultura. Sottolineare la gravità di uno stupro, senza nominare e affrontare la cultura che ne rappresenta la base, non è solo inutile. Ma controproducente.
“Abbiamo bisogno di nuove figure educative a supporto di quelle già presenti, di una Rete forte di istituzioni ed Enti che abbiano a cuore la formazione e la crescita dei più giovani, di più spazi ricreativi e aree verdi, di più azioni e meno intenzioni, di una comunità unita e con la stessa concreta missione: indicare ai ragazzi e alle ragazze la strada verso il loro futuro, muovendo accanto a loro i primi passi” sottolinea Ivana.
A mettere insieme dubbi e domande a riguardo è il podcast Oltre la cattedra, segnalatomi e curato dalla giornalista Giulia Greppi, all’interno del più ampio progetto di ricerca Nova Schol@.
Lo racconta Greppi:
Una prima evidenza emersa è sicuramente il fatto che studenti e studentesse non sono più disposti a vivere unicamente lezioni frontali. Lo spazio deve cambiare per permettere a studenti e studentesse di essere protagonisti e non spettatori passivi della lezione. Alcune esperienze (come il movimento scuole DaDa) sta cercando di portare nelle scuole pubbliche una costituzione di ambiente scolastico differente creando ambienti tematici dove il professore e la professoressa sono “fissi” mentre ragazzi e ragazze al cambio dell’ora si spostano tra le classi. Altro sperimento è la scuola senza zaino, per cui si cerca di far avere tutto il materiale necessario alle lezioni direttamente a scuola mentre i manuali vengono lasciati a casa e usati per un supporto allo studio o ai compiti a casa. Il movimento Avanguardie educative, invece, è un movimento che propone strumenti di insegnamento chiamati “idee” che rendono più agile la lezione. Un esempio è il debate, per cui - anche in lingua straniera- ragazzi e ragazze hanno un argomento da difendere di fronte a un gruppo. Questo è un esempio di classe invertita per cui alunni e alunne non vivono unicamente in maniera passiva la lezione dei e delle docenti ma imparano facendo. Altro tema che per ora è emerso è quello delle competenze trasversali: è necessario promuovere un insegnamento basato anche sulla curiosità, dare spazio alle domande e alla conoscenza di sé, al problem solving e altre soft skills che sono sicuramente più facili da coltivare sviluppando lezioni che esulino da quelli che consideriamo i programmi tradizionali.
Modalità, fantasia, cura, amore. La vocazione a cui si attinge per fare riferimento all’insegnamento è un alibi: servono fondi, finanziamenti, stipendi adeguati, spazi, formazione, relazione. Il progetto di autoinchiesta “La scuola ha riaperto come una nevicata” immagina una scuola diversa attraverso una serie di incontri fatti nelle scuole per parlare di cos'è successo in questi anni di diritto all'istruzione (parzialmente) negato; di assenza di corpi e di socialità, di caccia all'untore, solitudine, paura, domesticazione e dispositivi digitali. Ma anche di sogni, trasformazioni impreviste e strategie collettive di sopravvivenza.
La scuola è chiamata a fare sempre di più. Anche sul tema della violenza sessista. Ma va sostenuta. Come evidenziato da un’inchiesta condotta da Alley Oop tra gli insegnanti e studiosi del tema della violenza, emerge la consapevolezza di una minore incisività di questa istituzione davanti alla preponderanza dei social e all’assenza in alcuni casi o alla minor centralità della famiglia.
Si sente forte fortissimo il bisogno di creare una rete tra i vari enti, una scuola che dialoghi proficuamente con le famiglie e con la società. E che permetta di eliminare quegli sterotipi che umiliano e ingabbiano le donne nel ruolo di oggetti e gli uomini nel ruolo di macchine del sesso, con una virilità tossica e violenta che li definisce. Emerge il bisogno di avere un nuovo modello di maschilità.
Ripartire dalla scuola, da dove è giusto che si parta.
📰 Rassegnami
A Palermo e a Caivano non ci sono mostri, ci sono i nostri figli
Gli stupratori di Palermo, quelli di Caivano sono dei mostri, come li abbiamo sentiti chiamare? Certo, leggendo i terribili racconti delle vittime, i resoconti della cronaca, i messaggi agghiaccianti e violenti che si sono scambiati dopo i fatti, la tentazione di allontanarli da noi e dal nostro essere umani è forte. In fondo, definirli mostri ci mette al sicuro, ci permette di pensare che loro non sono come noi.Come non parlare di stupro in televisione: la mia esperienza di ospite in un programma del servizio pubblico
“Ora vi racconto la Rai che prova a costringere, stavolta non riuscendoci, una professionista a entrare in uno stampino a forma di vittima. A che pro? Assurgere al suo ruolo nel teatrino presepico di una puntata interamente ambientata a Caivano, in cui ognuno doveva servire a legittimare le politiche di governo”: il racconto della giornalista Valentina Mira.
La "crisi del maschio" non è una crisi, è una scusa
Dovremmo rileggere tutti Carla Lonzi
La pubblicazione di Sputiamo su Hegel e altri scritti è il primo passo del progetto di ristampa dei testi della penna più ispirata e coraggiosa del femminismo italiano.La vita orribile e meravigliosa di Patrizia Cavalli: “Le mie poesie non cambieranno il mondo” di Annalena Benini e Francesco Piccolo.
Il documentario sulla poeta scomparsa un anno fa è un ritratto intimo e ironico delle passioni, delle contraddizioni, dei ricordi e della malattia di Cavalli.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Le Brigantesse di Librino
Da una parte il mare, dall’altra l’Etna. In mezzo, lunghi viali deserti e saracinesche abbassate: è qui che sorge il quartiere satellite da più di 70mila abitanti. Le attività commerciali non decollano, i servizi mancano, i ponti collegano uffici immaginari e mai aperti: Librino non è la “New Town” moderna e funzionale immaginata dall’architetto giapponese Kenzo Tange trent’anni fa. Ma la bellezza è resistente e, indomata, trova spazio comunque. Proprio attraversando la Porta della Bellezza del quartiere, si arriva al Campo di San Teodoro Liberato: il campo di rugby costruito per le Universiadi del 1997, rimasto abbandonato per anni e occupato il 25 aprile del 2012 da I Briganti Rugby ASD Onlus “Librino” che, con cura e dedizione, ne ha fatto diventare polo sportivo e culturale del quartiere fino all’affidamento ufficiale da parte del Comune.
Nel sogno del campo diventato realtà, le donne sono protagoniste e pioniere: hanno creato la prima squadra femminile di rugby della loro città – Le Brigantesse – e sono diventate un’importante e attiva presenza culturale e sociale del quartiere. Rivendicare spazi, ribaltando stereotipi, è la loro storia e il loro futuro.
“Il rugby è una metafora della vita, ti insegna a rialzarti quando cadi, ti dimostra come rispetto e sostegno sono fondamentali in campo come nella vita. Si creano rapporti di amore reciproco” racconta la brigantessa Sipala. È così che a Librino nascono le Brigantesse, facendo squadra nel campo e nella vita: “buona parte delle mie compagne di squadra sono mie ex compagne di scuole – aggiunge Gloria Mertoli, capitana della squadra– abbiamo affrontato questa sfida insieme e da quel momento non abbiamo mai smesso. Un amore a prima vista”.
Un percorso andato avanti oltre ogni difficoltà e che mette insieme rivendicazioni pubbliche e personali: “Ho iniziato a giocare a rugby per recuperare fiducia nel mondo – spiega Sipala – a consigliarmelo è stata una mia amica, attivista per le Brigate volontarie per l’Emergenza e tra le prime occupanti del campo San Teodoro: nel 2012 mi propose di creare una squadra femminile e oggi siamo qui”. Esserci e crescere insieme: “Quando dico che gioco a rugby, i ragazzi pensano che sia una dura e le ragazze ne restano affascinate: per me significa crescere, smussare gli egoismi in campo e fuori” racconta la capitana.
Essere brigantesse non significa semplicemente disputare una partita. Ma giocare la propria insieme alle altre: si battono su un campo polveroso fino all’ultimo minuto e, nel terzo tempo, familiarizzano con le avversarie dedicando un urlo al rugby, “Urrà”. Se durante la partita batti la tua avversaria, nel terzo tempo l’abbracci: “ho imparato che è normale avere paura, ma l’importante è non farsi schiacciare. Come nel rugby, farsi placcare senza lasciarsi sovrastare”.
La storia completa delle Brigantesse l’avevo raccontata qui.
🌱 La parola
Vittimizzazione secondaria
Avviene quando una donna che ha subìto violenza ne subisce altra: è successo per esempio con il commento di Andrea Giambruno sullo stupro di Palermo.
In generale, la vittimizzazione secondaria si basa sulla mancata conoscenza del fenomeno della violenza maschile contro le donne e su una radicata cultura dello stupro, un’espressione utilizzata dagli studi di genere e dai femminismi per descrivere una “cultura” nella quale non solo la violenza e gli abusi di genere sono molto diffusi, minimizzati e normalizzati, ma dove sono normalizzati e incoraggiati anche gli atteggiamenti che giustificano e sostengono quella violenza e che pretendono di avere il controllo sulla sessualità femminile
🍸 Coraggio liquido
Settembre, back to tutto. Per farcela, servono le magie. E allora Gin DelMago: fresco, grazie a erbe come la menta e la citronella, ma anche balsamico e romantico grazie al ginepro che ne costituisce la nota prevalente. Il risultato è morbido e simpatico: serve empatia. Serve un gin tonic adesso.
❤️ L’amore è una playlist
Piano piano mi ricordo come ti amo.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: deviare per un aperitivo, improvvisare, coincidere. Non pentirsene.
Cura: scoprire cosa c’è dopo la paura. Stare comoda. Cieli azzurri e fanatici.
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"Educazione come pratica di libertà" del 9 settembre 2023. Rivista sempre al top ma, oggi, l'ho trovata assolutamente perfetta: incalzante, determinata, razionale e lucida. In particolare ho estremamente apprezzato l'articolo di Valentina Mira "Come non parlare di stupro in televisione". Articolo tosto ma vero, grintoso ma educato, riflessivo ma impetuoso. Una vera lezione di giornalismo. Nel mio piccolo cerchero' di diffonderlo.