I ragazzi come stanno?
Se il not all men diventasse confronto tra pari, qualcosa cambierebbe: in meglio e più velocemente. Serve rompere la solidarietà maschile, serve dire: “sì, possiamo essere tutti così. Ma non vogliamo"
Piangono, sono dispiaciuti, amavano tanto ma erano depressi o coinvolti in moti emotivi incontenibili, portavano comunque la colazione a letto: non abbiamo il tempo di asciugarci lacrime e sangue perché dobbiamo già accorgerci che stiamo morendo due volte. Quando ci ammazzano e quando raccontano chi ci ha ammazzate invece di raccontarci. La vittimizzazione secondaria, questo è.
Gli autori della violenza diventano “quei bravi ragazzi” nel racconto che i media - non tutti, ma molti - fanno dei femminicidi. Per cui, non approfondirò il concetto giuridico di crudeltà che tanto sta facendo discutere e facilmente indigna e scompiglia (p.s Elena Cecchettin non ha il dovere di assumersi tutte le battaglie), ma parlerò di quello che so e che vivo: la responsabilità delle parole.
Martedì scorso, mentre i reali inglesi affogavano il traffico romano, ho seguito i lavori dell’Osservatorio Step-Ricerca e Informazione. Come racconto su Alley Oop, l’Osservatorio - battezzato a ottobre 2023 - ha attuato un lavoro di monitoraggio quotidiano del racconto della violenza su 25 testate della stampa nazionale con l’obiettivo di verificare i progressi dell’applicazione delle raccomandazioni del Manifesto di Venezia e contribuire a una corretta rappresentazione della violenza contro le donne nel racconto giornalistico.
Cosa emerge? Che non possiamo più aspettare, che le parole devono avere un peso, che la cultura la cambia anche il linguaggio. Invece, come mi ha raccontato la presidente dell’Osservatorio Flaminia Saccà: “Quello che ancora manca è l’empatia verso la vittima. Troviamo invece troppo spesso fenomeni di himpathy, ovvero di empatia nei confronti del femminicida invece che della vittima: questo accade soltanto nei reati di violenza maschile contro le donne. Per qualunque altro tipo di reato non si hanno dubbi: la comprensione va alla vittima, non al carnefice”.
Il dubbio: viene coltivato solo quando le donne muoiono ammazzate per mano degli uomini. Com’era vestita, ma era ubriaca, ma quanto era lucida, ma in effetti ci stava? Lo ha provocato? Se pensate che queste riflessioni siano superate, basta andarsi a fare un giro tra i commenti social a contenuti che trattano il tema.
Se da un lato le giovanissime generazioni sembrano essere decisamente progressiste riguardo i diritti, con consapevolezze maggiori rispetto ai Millennials, dall’altro c’è un enorme e sconosciuto sommerso da cui scaturisce l’incredulità: come ha potuto un ventenne ammazzare una sua coetanea?
Stiamo sbagliando qualcosa e, mentre focalizziamo il cosa, dobbiamo ascoltare: come scrive Simonetta Sciandivasci su La Stampa, l’educazione all’affettività non basta se non sappiamo come parlare ai ragazzi e alle ragazze. Se pensiamo di conoscerli senza conoscerli.
Un’indagine statistica effettuata dall’istituto Demopolis, in collaborazione con l’impresa sociale Con i bambini, mostra come il 79% degli intervistati preferisca parlare delle proprie difficoltà con gli amici invece che con gli adulti, siano questi genitori o insegnanti.
Quasi un terzo degli intervistati ha serie difficoltà a parlare di sé e a condividere i propri pensieri: le ragioni principali si possono trovare nella paura di essere giudicati o, comunque, non compresi.
In queste ombre si crea la frattura. Le adolescenti muoiono, gli adolescenti uccidono. E non c’è alcun raptus che tenga. Né alcun impeto di gelosia. Dopo anni di lavoro sulla cultura, qualcosa a riguardo sta cambiando: tra i dati positivi raccolti dall’Osservatorio, c’è proprio quello relativo al presento utilizzo del raptus come giustificazione della violenza. Ricorre nel solo 3% dei casi. Tuttavia, torna ad essere il secondo “movente” (34%) della violenza nei casi in cui questa viene esercitata verso donne con disabilità o malattia.
Nell’ultimo anno un altro cambiamento positivo c’è stato: la stampa usa in modo sempre più chiaro i nomi dei reati – femminicidio, stupro di gruppo, stalking – guidando chi legge in una corretta ricostruzione dei fatti. Una svolta discorsiva non ancora del tutto compiuta che, sottolinea l’Osservatorio, sarebbe avvenuta soprattutto dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin: nominare è fare esistere. Usare la parola “femminicidio” indica il chi e soprattutto il perché. Ma ancora: riconosce le radici culturali del problema che, no, non riguarda le ragazze. Ma i ragazzi. Sono loro che ammazzano.
Se il not all men diventasse confronto tra pari, forse qualcosa cambierebbe: in meglio e più velocemente. Serve rompere la solidarietà maschile, serve dire: “sì, possiamo essere tutti così. Ma non vogliamo”.
Se le ragazze stanno bene, i ragazzi come stanno?
📰 Rassegnami (&vediamoci)
Vediamoci da Lucha💜
Oggi, sabato 12 aprile, da Lucha y Siesta a Roma, parte il weekend di Staffette: il festival itinerante del libro indipendente. Alle 19 mi trovate a chiacchierare di diritto al riposo in una tavola rotonda che dice tutto: Preferisco il rumore del mare.
Incontriamoci (e se venite scrivetemi). Qui il programma completo della due giorni.
Femminicidi, se contare è un esercizio politico
Contare è un esercizio politico e, nel caso dei femminicidi, serve ad avere concreta percezione del fenomeno per individuarne le radici culturali: ma In Italia, una banca dati istituzionale, pubblica e completa sui femminicidi, non esiste. Ne ho scritto per The Wom.
Il primo elenco ufficiale delle strutture abortive in Italia
È un importante passo avanti per migliorare l’accesso all’aborto, ma sarà davvero utile quando sarà aggiornato e con alcuni dati che ora mancano.
Riconoscere la visibilità sociale delle madri, perché il cognome materno non è secondario
Tre scelte possibili: solo il cognome del padre, solo il cognome della madre, entrambi i cognomi e nell’ordine desiderato. Sono queste le opzioni fra cui oggi possono scegliere i neogenitori in Italia. Le diverse scelte sono state rese possibili dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 27 aprile 2022, che ritiene discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Tuttavia, continua a mancare una legge in materia: le cose potrebbero cambiare con una nuova proposta. Intanto, ecco come funziona nel resto del mondo. Sempre per The Wom.
Salute, le donne vivono più a lungo ma passano più anni malate
Nonostante la crescente consapevolezza tra le più giovani delle tematiche legate alla salute femminile, oggi solo il 56% delle donne italiane si sottopone regolarmente a controlli consigliati.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Martha Mitchell
Il Martha Mitchell Effect si verifica quando un professionista medico etichetta la percezione accurata di eventi reali da parte di un paziente come delirante, con conseguente diagnosi errata.
Martha Elizabeth Beall Mitchell (2 settembre 1918 – 31 maggio 1976) era la moglie di John N. Mitchell, Procuratore Generale degli Stati Uniti sotto il presidente Richard Nixon. I suoi commenti pubblici e le interviste durante lo scandalo Watergate furono schietti e rivelatori.
Nel 1972 scoppia lo scandalo Watergate: il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon cade nell’occhio del ciclone in seguito a una serie di intercettazioni ottenute con delle microspie nella sua stanza del Watergate Hotel di Washington. Queste prove delle sue operazioni volte ad annullare l’opposizione politica in maniera illegale – interferendo negli affari interni e internazionali con collaboratori fidati e spesso segreti – segneranno l’inizio del crollo di Nixon, dimissionario nel 1974. Negli anni dello scandalo Watergate un ruolo fondamentale lo reciterà la moglie Procuratore generale John N. Mitchell: Martha.
La scrittrice Héléne Frappat, in un libro uscito qualche mese fa in Italia Gaslighting. Contro la manipolazione (Neri Pozza, 2024), racconta la storia di Martha Mitchell, che rivelò pubblicamente sui giornali, in televisione, davanti a una commissione d’inchiesta, che la Casa Bianca era responsabile dell’irruzione negli uffici del Watergate.
Come ogni Cassandra, anche Martha Mitchell (soprannominata dalla stampa, non a caso, ‘Martha the Mouth’) fu ridicolizzata, e poi rapita, rinchiusa, picchiata, drogata, chiamata pazza, internata, e infine ripudiata dal marito, dalla figlia e dai parenti, che la abbandonarono quando si ammalò gravemente. Una storia che si ripete e che si è ripetuta, che si innesta sulla facilità con cui è stato possibile nella storia mettere a tacere le donne, privarle della loro credibilità, attraverso strategie che mirano a ridicolizzarle.
🌱 La parola
Himpathy
Empatia sproporzionata nei confronti del femminicida invece che della vittima: questo accade soltanto nei reati di violenza maschile contro le donne. Per qualunque altro tipo di reato non si hanno dubbi: la comprensione va alla vittima, non al carnefice.
Si tratta di una strategia discorsiva già evidenziata dalla filosofa australiana Kate Manne che, con la parola “himpathy”, fa riferimento proprio all’assunzione della prospettiva autoassolutoria e vittimistica dell’offender nel racconto giornalistico: così, nella cronaca, invece che sottolinearne le responsabilità si riporta e si empatizza con il fatto che pianga, sia dispiaciuto o sia comunque un bravo ragazzo con le sue passioni.
🍸 Coraggio liquido
La sorpresa arriva quando non la stai aspettando: Taggiasco Extravirgin nasce da un esperimento fatto per caso, che ha permesso di scoprire quanto le olive possano costituire un’ottima botanica per il gin. Sorprende per l’ottimo bilanciamento tra le note del ginepro e quelle del distillato di olive taggiasche: sta bene nel Gin Tonic e pure nel Negroni. Ciò che uno desidera.
❤️ L’amore è una playlist
Ritorni generazionali, il sollievo delle cose che cambiano: ionontiabbracciomai.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: incrociare i sentieri tenendo chiare le strade.
Cura: Preferisco il rumore del mare.
🥂Come puoi: diffondi, supporta, condividi
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Eh sì, è proprio questa la questione: bisogna che anche i ragazzi si interpellino su cosa sia essere maschi.
E noi anzyanyh dovremmo cercare di capire esattamente perché un figuro come Andrew Tate e tutti quelli che lo copiano vadano così forte tra i ragazzini. Le mie amiche che lavorano a medie e licei negli ultimi anni stanno sentendo cose agghiaccianti (a un'amica addirittura sui figlio ha detto una frase misogina a mo' di battuta, ed è stato messo a fare le pulizie in casa da due settimane, per imparare il valore del lavoro di cura che per lui era una battuta svalutante verso sua madre. 12 anni. Capito come stiamo)