Insomma chi l'ha vinto sto premio Strega?
"La letteratura continua a essere la contestazione delle versioni ufficiali. Oggi questa versione è ancora patriarcale". Qualcosa si muove, ma serve attraversare le acque del sommerso.
Abbandonare era niente, rispetto al dolore di tradire me stessa. E questa facilità a lasciare appena si richiedesse da me qualcosa che non si accordava con la mia coscienza, è stato l’elemento che più di tutto mi ha impedito di perdermi nella emancipazione e nelle riuscite apparenti.
Non volere quasi niente. Ma quel poco e tutto. Diventare quello che si intuisce si deve scrivere. Leggere i diari di Carla Lonzi - nel 1978 veniva pubblicato Taci, anzi parla, scritto dal 1972 al 1977 e ora nuovamente disponibile edito da La Tartaruga, a cura di Annarosa Buttarelli - porta a questo. O non necessariamente a questo. Ma ad altre mille intuizioni che portano a sé. E riportarsi a sé - quando tutto, ma proprio tutto - ci vuole verso l’altro (quasi sempre maschile) è un atto non solo rivoluzionario. Ma liberatorio.
Questi scritti di fuoco - catartici e attraversabili non senza una certa sofferenza - hanno un pubblico che si sta allargando sempre di più. Ma, nonostante la riscoperta editoriale di Lonzi, le parole che riportano a sé sono rimaste fuori dal canone letterario e filosofico. Dalle scuole. Dai luoghi della cultura riconosciuti “alti”. E allora nel tempo ho visto Lonzi passare di pdf in pdf. Di fotocopie in fotocopie. Con gli appunti a margine di altre donne che prima di me si erano riportate a sé. Un processo sempre in divenire.
Si parla giustamente spesso delle scrittrici totalmente assenti dai programmi scolastici. Ancora meno delle filosofe assenti. Perché è dell’esistenza che si parla quando in treno ci si riconosce tra estranee per aver letto “Dalla parte di lei” di Alba de Céspedes.
Labodif - che vi invito a seguire - lo segnala attraverso una lettera arrivata in redazione che rende bene l’idea:
Cara Labodif,
sono in treno ed è appena successa una cosa che mi è piaciuta molto: la controllora, dopo essere passata, è ripassata e indicando il libro mi ha detto a bassa voce “ho appena finito di leggerlo, non ci sono parole“, io ho ribadito “non ci sono parole” e per qualche secondo abbiamo comunicato a gesti e a espressioni del viso, poi le ho chiesto se avesse letto “Dalla parte di lei” mi ha risposto “li ho letti tutti, non ho potuto farne a meno “, io ho risposto “anche io li leggerò tutti, non posso farne a meno “.
Questo dialogo tra sconosciute di età diverse (lei avrà avuto circa 30 anni) mi ha lasciato una sensazione di complicità e di intimità. Soprattutto quel “non ci sono parole” ripetuto da entrambe, per alludere al fatto che le parole di Alba danno voce a pensieri e sensazioni in cui ciascuna donna può riconoscersi, perché è una scrittura di donna, sospesa “tra il falso e il vuoto e perciò sperimentalissima”.
Una scrittura di donna “tra il falso e il vuoto e perciò sperimentalissima”: ce ne sono state e ce ne sono.
Caterina da Siena, Sibilla Aleramo, Goliarda Sapienza, Alba de Céspedes, Anna Maria Ortese e tante altre. Ma a scuola non c’è traccia di loro. Eppure, sono state numerosissime e “prolifere”, stando ai numeri della banca dati online Donne in Arcadia che conta quasi 500 donne scrittrici attive solo tra il 1690 e il 1800.
Come riportano i dati raccolti da Marianna Orsi nel saggio “Fading Away: Women disappearing from literature textbooks (in Female Cultural Production in Modern Italy”, a cura di Sharon Hecker e Catherine Ramsey-Portolano), il 91% dei programmi universitari di letteratura italiana è composto da autori.
La storia maschile, così, rischia di essere l’unica storia. Non avere modelli di scrittrici significa pensare che non esistano o non siano esistite e, di conseguenza, questo porta le giovani ragazze ad avere difficoltà nell’immaginarsi come “future” donne che scrivono.
Tredici donne hanno vinto il Premio Strega: la prima, nel 1957, è stata Elsa Morante, seguita da Natalia Ginzburg, Anna Maria Ortese, Lalla Romano, Fausta Cialente, Maria Bellonci, Mariateresa Di Lascia, Dacia Maraini, Margaret Mazzantini, Melania Mazzucco, Helena Janeczek, Ada D'Adamo e Donatella Di Pietrantonio.
Quest’anno è stata la volta di Andrea Bajani, vincitore del Premio Strega 2025 con “L’anniversario”, edito Feltrinelli. Ma le sue parole di ringraziamento smuovono qualcosa. O perlomeno dicono qualcosa al maschile:
La letteratura continua a essere la contestazione delle versioni ufficiali. Oggi questa versione è ancora patriarcale e la mia contestazione è affidata al protagonista del libro.
Come sottolinea Potenza su Alley Oop, “non è stata premiata soltanto un’opera letteraria di grande intensità stilistica, ma una voce maschile che, per una volta, non si è arrogata il diritto di spiegare, insegnare o difendere, ma ha deciso di disarmare. E di disarmarsi.
In un Paese dove la famiglia è ancora troppo spesso teatro di potere opaco e dove le narrazioni maschili tendono a legittimarsi attraverso l’appropriazione della parola pubblica, “L’anniversario” ha compiuto un gesto controintuitivo: ha sottratto l’uomo al centro della scena. Ha scelto, piuttosto, di raccontare la fine come un inizio necessario: il momento in cui si smette di essere figli per poter diventare altro. Perché, talvolta, crescere significa avere il coraggio di non tornare più a casa”.
L’assenza - dalla famiglia, dai rapporti gerarchici e quindi da una certa distribuzione del potere - “racconta un uomo che ha dismesso i panni del complice e che, nel silenzio di questa rinuncia, si restituisce finalmente alla responsabilità di scegliere chi essere”. Continua Potenza: “Quello che Bajani mette in gioco, anche senza proclamarlo, è un modo diverso di essere uomo nella scrittura. Non più figura centripeta, attorno a cui ruotano donne, figli, conflitti e conflitti risolti. Ma un soggetto parziale, spezzato, che non cerca di ricucire i propri strappi con la forza della narrazione, ma li espone come ferite ancora aperte”.
Un gesto necessario che, tuttavia, mostra a che punto siamo: il processo di autocoscienza inaugurato da Lonzi già negli anni ‘70 - e diventato un patrimonio più o meno conscio e inconscio delle generazioni di donne a seguire - per gli uomini è appena iniziato. Per alcuni. Per quelli che hanno capito che è inutile trincerarsi dietro le ferite. Ma serve esporle.
Leggerò “L’Anniversario” quando e se finirò “Scrittura dell’anima nuda”: i taccuini di Goliarda Sapienza che la tenevano incollata ai fogli suo malgrado.
Lonzi, Sapienza, diari. Ancora una volta la scrittura delle donne, da sé e per le altre. In una forma, quella diaristica, che fa canone letterario: un genere a partire dal genere.
Il processo di sottrazione di Bajani serve. E serve che i maschi comincino a parlarsi tra loro a partire dal loro attraversamento. Morante, quando ha vinto lo Strega con “L’isola di Arturo”, aveva davanti l’immensità delle acque di Procida. Respingenti e accoglienti insieme. Non si nuota senza contemplare il rischio di annegare. Staremo a galla insieme, ma prima imparare a sottrarsi.
Ecco, si scrive per gli altri, ma senza averli addosso. Scrivere per gli altri come se si fosse già morti e pensando che mai, mai i tuoi scritti arriveranno alle persone che ami, ma solo a una massa sconosciuta che poi si riduce a un ragazzo, una ragazza, un vecchio saggio che mai hai conosciuto e mai conoscerai. Questo è per me lo scrivere, non c’è niente da fare.
Goliarda Sapienza, Scrittura dell’anima nuda
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🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Maria Bellonci
Il Premio Strega non esisterebbe senza Maria Bellonci. Non solo perché fu lei, con il marito Guido Alberti e il sostegno della famiglia del celebre liquore, a immaginarlo nel 1947, ma perché fu lei a dargli forma, visione e voce.
L’idea prese corpo nel suo salotto romano, dove durante gli anni della guerra si erano cominciati a incontrare scrittori, scrittrici, editori, giornalisti: erano gli “Amici della Domenica”, una comunità letteraria che credeva nella forza civile della letteratura. Bellonci ne fu il motore, intellettuale e organizzativo.
Ma il premio è solo una delle sue molte vite. Maria Bellonci è stata una scrittrice originale e necessaria, capace di rinnovare il genere della biografia storica con una voce tutta sua.
Maria Bellonci è nata così. Iniziò a scrivere sul Popolo di Roma, dove teneva una rubrica intitolata “L’altra metà” e, in pieno fascismo – siamo nel 1929 – criticava i concorsi di bellezza e raccontava il “fermento grandissimo che agita le anime femminili”: un movimento difficile da definire, ma certo “teso a cercare una forma di vita inedita”.
Fu proprio un dettaglio a cambiare il corso della sua scrittura: le proposero di lavorare al catalogo dei gioielli di Lucrezia Borgia, e rimase folgorata da un’armilla con un’incisione interna — un distico di Pietro Bembo, umanista e tenero corrispondente della duchessa di Ferrara. Da quel dettaglio, nato nell’ombra dei cliché — la Lucrezia avvelenatrice, figlia illegittima del Papa, sorella del Valentino — prese avvio un lavoro d’archivio lungo e capillare. Nel 1932 iniziò le sue ricerche tra Vaticano, Mantova e Modena. Il risultato fu Lucrezia Borgia e il suo tempo, pubblicato nel 1939 e vincitore del Premio Viareggio opera prima. Oggi quel libro è tornato in catalogo negli Oscar Mondadori, con una nuova prefazione di Giulia Caminito.
Con Lucrezia comincia anche la vera vocazione di Bellonci: riaprire i dossier della storia, con occhi diversi. Le sue protagoniste — da Isabella d’Este a Cristina di Svezia — abitano zone ibride del potere e del desiderio, figure spesso ridotte a icone o curiosità, che lei invece tratteggia con rigore, sensibilità e precisione filologica. Nei suoi libri — Tu vipera gentile, Segni sul muro, Rinascimento privato — ogni documento diventa narrazione, ogni silenzio un indizio, ogni scelta formale una dichiarazione politica.
Tra scrittura, ricerca, relazioni culturali e costruzione di spazi pubblici, Maria Bellonci ha occupato un ruolo decisivo nella cultura italiana del Novecento. Lo ha fatto con determinazione, con autorevolezza, senza mai rinunciare alla complessità.
Il suo nome oggi è ancora meno noto di quello del premio che ha fondato. Ma i suoi libri continuano a parlare. E a porre la domanda che resta aperta:
Chi racconta la storia? E chi viene lasciata fuori, mentre si scrive?
🌱 La parola
Autocoscienza
“Noi decidemmo di partire da noi stesse.”
È così che Carla Lonzi — critica d’arte, scrittrice e tra le voci fondanti del femminismo italiano — descrive il momento in cui capì che la liberazione non sarebbe venuta da fuori, da un partito, da un leader, da una teoria. Ma dall’esperienza condivisa tra donne, messa in parole, in cerchio, in ascolto reciproco.
L’autocoscienza, nel femminismo italiano degli anni ’70, non è solo consapevolezza individuale. È pratica politica. Significa che la coscienza di sé non è mai davvero “solo tua”: nasce nel momento in cui racconti la tua storia a un’altra donna e riconosci qualcosa di tuo nelle sue parole.
È in quel riconoscimento che si rompe l’isolamento, che il personale diventa politico. Non esiste più la “nevrosi individuale” ma un’intera struttura sociale da nominare, mettere in discussione, trasformare.
Per Carla Lonzi, l’autocoscienza non serve a capire “chi siamo” secondo uno schema precostituito. Serve a sottrarci da ogni ruolo assegnato: la moglie, la madre, la compagna, la musa, la militante perfetta.
È una forma di disobbedienza all’ordine simbolico patriarcale, ma anche alla logica maschile della performance e del potere.
Autocoscienza è anche accettare il conflitto, nominare il non detto, accorgersi del proprio desiderio. Non è mai addomesticata, e nemmeno comoda. È un atto di creazione di sé, ma non in solitudine. È un tempo sottratto alla produttività, all’obbligo di dimostrare qualcosa, al bisogno di validazione esterna.
Un tempo per pensarsi e pensare il mondo, insieme.
🍸 Coraggio liquido
Nomen omen, il nome è un presagio. Ginepraio è un gin biologico toscano, labirintico eppure coerente. Distillato a Cortona con botaniche locali — ginepro maremmano, rosa canina, lavanda, coriandolo — è secco, floreale, con un finale che punge con eleganza. Che ci racconta? Che servono i percorsi meno lineari per i risultati più interessanti.
❤️ L’amore è una playlist
Questo al tramonto bastava:
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: iosoffrolostressiosoffrolostress
Cura: conoscere i bisogni
🥂Come puoi: diffondi, supporta, condividi
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