Hai detto "ti amo" o "abortiamo"?
"La 194 non si tocca". E invece sì: se è il diritto di scelta delle donne che vogliamo tutelare, ogni zona grigia della legge va eliminata. Ma a parlarne sono ancora gli uomini.
Che tempi incredibili in cui vivere ragazze: mentre il governo Meloni tenta di utilizzare il Pnrr (soldi veri, soldi pubblici) per far entrare le associazioni antiabortiste nei consultori (sbagliato chiamarle pro-vita), le opposizioni politiche (e tanti giornali) si fissano sullo slogan “la 194 non si tocca!!”.
Eh no, cuori, la 194 va toccata: e basta ascoltare le associazioni e le realtà che si occupano di aborto ogni giorno per saperlo (per fare un esempio: Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta clinica, riferimento concreto per chi dovesse aver bisogno con il progetto “IVG, ho abortito e sto benissimo” di cui avevo parlato qui).
Se la propaganda di Meloni è esplicita, occhio alle strumentalizzazioni dalle parti opposte: non basta far parlare “l’esponente donna di partito” per farvi vedere pronti. Le parole hanno un peso e, quando lo hanno in un modo specifico, si sente: è il caso, ad esempio, della deputata Gilda Sportiello (M5s) intervenuta in aula a Montecitorio contro la norma del decreto Pnrr che apre le porte dei consultori alle associazioni antiabortiste raccontando la sua storia personale: “ho abortito e non mi sento colpevole".
Diversamente siete miopi, sgamabili, a corta veduta. Ed è per questo che Meloni ve se magna. Non bisogna dire “nessuno tocchi la 194”. Ma “tocchiamola!”. Rendiamola forte e solida rispetto alle volontà delle donne e alla loro tutela: oggi, così com’è scritta, non lo è. E dunque, un discorso politico che possa essere definito tale sul tema dell’aborto, questo deve dire: bisogna citare l’articolo 2 della legge 194, per cui i consultori possano avvalersi della "collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possano anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita".
Bisogna dare la notizia, quella vera: e non è che Meloni stia facendo entrare le associazioni antiabortiste nei consultori (ci aspettavamo davvero diversamente?), innestandosi nell’articolo 2 della stessa legge che vuole tutelare l’aborto, ma che stia usando dei soldi pubblici per farlo. Altrimenti è ovvio che Meloni possa dire quello che dica: “la 194 non la sto toccando”. E infatti la Commissione europea non si è fatta attendere: le misure proposte dal governo italiano sull’aborto “non hanno alcun legame con il Pnrr” ha precisato Veerle Nuyts, portavoce per gli Affari economici della Commissione europea a Bruxelles, durante un punto stampa.
Il testo dell’emendamento presentato dal governo garantisce alle regioni la possibilità di usare i fondi del Pnrr dedicati alla salute (Missione 6, componente 1 del Piano) per organizzare servizi nei consultori che possono avvalersi “senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”, oltre a quelli già previsti, “anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”. Il rischio, dunque, è quello di garantire un finanziamento pubblico a una serie di realtà e associazioni che, invece di supportare le madri, portano avanti tesi e leggi antiabortiste.
Vi chiedete dove sono le femministe in tutto questo? Beh, ad ascoltarle prima, sapreste che da anni il discorso sulla riscrittura della 194 va avanti: ad esempio, Radicali italiani e le attiviste della campagna “Libera di abortire” hanno lanciato una raccolta firme per riuscire a portare in Senato un disegno di legge che modifichi la 194, e rimuova “quelle zone grigie che da anni permettono ai movimenti reazionari e pro-life di ostacolare l’accesso a un aborto libero e informato”.
Il testo della proposta si basa su alcuni pilastri, in primis sul graduale superamento dell’obiezione di coscienza. “Oggi in Italia è difficile capire quali siano le strutture in cui si applichi davvero l'ivg chirurgica o farmacologica – spiega Vittoria Loffi, responsabile della campagna Libera di abortire -. Non esiste infatti una mappatura e spesso mancano informazioni dettagliate, lasciando tutto in mano alle donne. Questo fa sì che, in piena violazione della legge 194, siano loro a doversi spostare dalla propria residenza per trovare medici non obiettori che pratichino l'aborto”.
Invece che ascoltare donne e attiviste, a parlare di aborto sono soprattutto gli uomini.
Volete metterci al centro dell’attenzione? Bene, se volete fare qualcosa per noi le cose da fare ci sarebbero. Il suggerimento arriva dalla collega Manuela Perrone - giornalista e autrice, insieme a Stefano Cuzzilla del saggio “Il buon lavoro. Benessere e cura delle persone nelle imprese italiane” - in un suo post social che per me potrebbe benissimo essere un editoriale per capacità di sintesi e focus. Che potete fare?
“sollecitare un piano straordinario sul lavoro femminile, eliminare i disincentivi all’occupazione delle donne, cancellare l’odiosa disparità salariale. Questo sì che farebbe crescere il Paese, e magari riporterebbe i giovani - maschi e femmine - a non scartare l’idea di avere figli. Il resto è noia e sbadiglio”.
E a me mi viene la noooooia.
📰 Rassegnami
Di aborto, in Italia e in Europa: ne ho scritto qui.
Dal fronte spagnolo, così temuto dal nostro governo in fatto di diritti, ne scrive Marina García Diéguez (che ringrazio per la cit.).
“È stupro anche se la vittima non reagisce”. La Cassazione ribalta la sentenza del processo contro l’uomo accusato di violenza su una ragazza
"È anacronistico sostenere che “l’aggressività è gradita alla fanciulla”, rifacendosi al detto latino di Ovidio vis grata puellae, per motivare l’assoluzione di un imputato per violenza sessuale… Non si comprende quale rilievo probatorio e argomentativo abbia questo assunto". La corte di Cassazione attacca duramente le motivazioni della sentenza d’Appello di Palermo che il 23 giugno del 2022 ha assolto l’uomo che era accusato di aver stuprato una ragazza di 22 anni nell’agosto del 2016, ribaltando la sentenza di condanna di primo grado del Tribunale di Agrigento. Il 2 aprile la Suprema corte ha annullato la sentenza decidendo per un secondo processo d’Appello.Violenza sulle donne, dopo Giulia Cecchettin uomini in cammino verso nuovi modelli
Il femminismo ha già dimostrato nell’ultimo mezzo secolo che è possibile cambiare il mondo, le relazioni, senza ricorrere alla violenza armata. Non vuol dire che non ci debba essere conflitto. Ma l’importante è che il conflitto non si trasformi nella volontà di ammazzare, uccidere l’altro con cui si confligge. C’ è già un’esperienza che ci dice che si può fare politica senza il conflitto armato che vuole distruggere l’avversario. Se si parte da qui possiamo ragionare su un modo diverso.
Lavoratrici di tutto il mondo, ri-unitevi
Se il problema del lavoro è collettivo, dice Soave, la risposta non può essere individuale. Un esempio recente: la nascita del MeToo è una delle poche e rare risposte collettive a un problema (anche) lavorativo che abbiamo visto negli ultimi anni. Ha coinvolto centinaia di migliaia di donne in tutto il mondo, ha spaventato chi deteneva e detiene il potere, ha anche dato il panico a centinaia di migliaia di uomini terrorizzati di perdere un privilegio che hanno sempre ritenuto dirittonaturale.
Come e perché abbiamo ignorato per secoli i dati sul ciclo mestruale
e Roberta Cavaglià (autrice di ), insieme su “Ti spiego il dato”, fanno il punto e innescano una bomba di newsletter.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Vitalina Lassandro
Questa newsletter, nella mia idea iniziale, avrebbe dovuto parlare di donne e Resistenza sin dalla parte principale (ne parleremo, eccome se ne parleremo). Poi ho seguito quella che sentivo essere l’urgenza del momento e allora rimedio così: un posto libero è un posto dove posso parlare di tutto. Una storia dal posto in cui sono nata.
I luoghi che viviamo e le strade che solchiamo ogni giorno raccontano storie che non conosciamo eppure rendono possibile il nostro procedere. La Resistenza delle donne è stata un fatto di armi e amore. Una guerra alla guerra, per affermare la vita contro la morte.
Le partigiane sono state donne comuni che hanno scelto non solo il coraggio. Ma il pragmatismo: rendere facile ciò che era difficile. Aver cura. Provvedere a sistemare le cose.
Vitalina Lassandro era una di loro: nasce a Santeramo in colle, in provincia di Bari, nel 1927. Il padre, piccolo impresario edile conosciuto in paese come antifascista, con la moglie e i cinque figli emigra a Torino dove diventa operaio Fiat. Lo stesso farà mio nonno anni dopo. Con la vendita della casa di Santeramo la famiglia fa fronte ai disagi del periodo bellico: a quattordici anni Vitalina viene assunta come operaia alla Caesar, azienda di prodotti sartoriali. Nel novembre 1942, quando la madre sfolla con i bambini più piccoli a Santeramo dove rimarrà fino al luglio del 1943, Vitalina si licenzia e sfolla a La Loggia col padre e il fratello operaio alla Riv.
“Toccava sempre alle donne mettere qualcosa in pentola” racconterà della quotidianità in guerra. Al ritorno la madre chiede e ottiene dalla Guardia nazionale repubblicana il permesso di occupare con la famiglia la casermetta di La Loggia rimasta deserta e Vitalina svolge lavori saltuari prevalentemente in sartorie artigianali a Torino.
Nel dopoguerra consegue la licenza commerciale e inizia a lavorare in una piccola fabbrica dove fa parte della commissione interna. Iscritta al sindacato abbigliamento, comincia a occuparsi di reclutamento e propaganda, fino a diventare funzionaria. Nel sindacato conosce il futuro marito, anch’egli funzionario. Si sposa nel 1953. Smetterà di lavorare per allevare le figlie.
“Non avere disgusto di queste cose significherebbe non avere sensibilità neanche per il bene” dirà dei morti in guerra. Guardate con attenzione le strade attraverso cui camminate, raccontano storie che rendono possibile la nostra vita. Santeramo è stata resistente. La memoria non dimentica.
🌱 La parola
Politiche di conciliazione
Le politiche per la conciliazione famiglia-lavoro rappresentano l'insieme delle politiche attuate dalle imprese al fine di favorire il corretto equilibrio tra vita professionale e personale.
Il Parlamento europeo, nel 2014, ha definito la conciliazione come un mezzo per pervenire all’uguaglianza tra donne e uomini, ritenuta un valore fondamentale dell’Unione.
L’obiettivo della conciliazione si colloca in uno scenario complesso in cui emergono sfide che richiedono risposte e interventi urgenti: evoluzione demografica, crisi economica e finanziaria, disoccupazione, povertà ed esclusione sociale. Le politiche di conciliazione, secondo il Parlamento, possono incidere positivamente su più aspetti e, in particolare, “ridurre la disparità salariale di genere, costituire un elemento chiave per l’occupazione sostenibile e una ripresa indotta dal reddito nonché avere un impatto positivo sulla demografia e permettere alle persone di assumere le proprie responsabilità familiari”.
Il tema della conciliazione è sempre stato affrontato in una prospettiva femminile, avendo riguardo a un modello familiare stereotipato con una divisione dei ruoli fortemente marcata e che vedeva la donna dedita al lavoro di cura in modo esclusivo o prevalente. La conciliazione era, in questo senso, pensata come una esigenza dettata dalla volontà di uscire dalle mura domestiche e proiettarsi verso il mercato del lavoro e veniva attratta nel discorso sulle pari opportunità.
La prospettiva, in parte, è cambiata e il modificarsi del ruolo delle donne dentro e fuori le mura domestiche negli ultimi decenni ha inciso sulla società in misura più ampia. Non solo ha inciso, come ovvio, sulla composizione del mercato del lavoro – pur con asimmetrie ancora evidenti (discriminazioni legate alle funzioni di cura, pay gap, segregazione orizzontale e verticale, ecc.) – ma, più in generale, ha influenzato le strutture familiari, i rapporti tra i generi e le generazioni, gli andamenti demografici, i sistemi di protezione sociale.
🍸 Coraggio liquido
A stretto contatto con il rame e questo gli conferisce un carattere e un sapore senza compromessi. Non a caso il nome di questo gin - Zealot‘s Heart - significa “il cuore del fanatico“ e rappresenta l‘ossessione di Brewdog nel selezionare le migliori botaniche. A dominare, è il ginepro: il cuore pulsante che batte e si fa sentire. Ci sappiamo ancora innamorare.
❤️ L’amore è una playlist
Sono sempre protetta.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: mi riconosco.
Cura: cielo rosa, lato passeggero, brindare.
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