Negli ultimi due numeri di questa newsletter (qui e qui) si è discusso tanto di linguaggio: quali sono le parole capaci di nominarci? Il linguaggio ci appartiene o lo subiamo? Nominare è fare esistere. Ma la lingua di chi è? Chi decide e chi contempla?
L’esperienza arriva prima e, darle parole, è un gesto potente e politico: per questo oggi scelgo di dare spazio a chi, con parole e azioni concrete, lavora ogni giorno per fornire un aiuto pratico e, soprattutto, ampliare quella che non è l’unica storia.
“Quando sarai madre capirai” sono le parole che, con gradi di sfumature e intensità ogni volta diverse, definiscono l’unica storia nella vita di tante donne. E, nell’appiattimento del racconto che assolve “l’istinto materno” a risposta per tutti i dubbi, a farne le spese è la libertà di decidere per noi.
Per questo parlare di aborto in Italia è ancora uno stigma. C’è un questionario da compilare prima di un’interruzione di gravidanza e un colloquio dedicato, in cui occorre dimostrare che, sì, abortire è quello che vuoi fare. Ma questa non è l’unica storia.
Federica Di Martino, psicologa e psicoterapeuta clinica, è un volto caro del mio Instagram ma soprattutto la persona e la professionista che c’è dietro a quella che non è solo una rete di aiuto, ma un riferimento concreto per chi dovesse aver bisogno: il progetto “IVG, ho abortito e sto benissimo”.
A Di Martino rubo ispirazioni per maglioni e rossetti e intanto le scrivo: “ne parliamo in newsletter?”. Non parliamo di rossetti (non lo escludo in futuro), ma di aborto e libertà. E allora eccole qui le sue parole: nominano e arrivano dove devono arrivare, per dire che insieme stiamo bene e non siamo sole.
“Il progetto IVG, ho abortito e sto benissimo nasce nel 2018 per destigmatizzare la retorica violenta che investe l'aborto, raccontato unicamente come esperienza traumatica e dolorosa, provando a offrire uno spazio di parola a chi quell'esperienza l'ha realmente vissuta” racconta Di Martino.
Dal 2018 non si contano le testimonianze arrivate che, come specifica la psicoterapeuta, “ci raccontano l'aborto come un'esperienza personale, connotata di sfumature e gradazioni emotive estremamente ampie”.
L’unica storia possibile sull’aborto è quella autentica, soggettiva e personale:
L'aborto è quello che è per ogni persona, e nessuno può sovradeterminare o definire cosa sia “per tutte” l'aborto.
Nel corso del tempo il lavoro della piattaforma si è ampliato, “provando a mettere in campo pratiche di mutualismo dal basso che spaziano dall'accompagnamento e il sostegno, all'acquisto materiale di presidi contraccettivi e sanitari”.
Ma non solo: soprattutto attraverso il canale Instagram dedicato, il progetto si occupa di fare corretta informazione e divulgazione sui temi della salute riproduttiva e sessuale. Perché è fondamentale? Lo spiega bene Di Martino: “il potere autodeterminativo passa inevitabilmente dalla conoscenza e consapevolezza, troppo spesso messi in discussione dalle politiche reazionarie e violente che provano ad assoggettare il potere autodeterminativo sui nostri corpi”.
Queste politiche violente trovano terreno fertile nella disinformazione. Ma quali sono le peggiori distorsioni che ruotano intorno all’aborto? Spoiler: più o meno tutto.
“Domina un profondo senso di vergogna nel condividere la propria esperienza, il che relega le donne che lo scelgono a una profonda solitudine - spiega Di Martino - in molti casi questo spinge le persone a cercare informazioni su internet, dove è facile incappare su siti e forum antiabortisti che diffondono notizie false e alimentano la politica del terrore. I canali istituzionali non forniscono informazioni dettagliate sulle procedure di aborto che, anchce organi internazionali riconosciuti come l'OMS e WHO, continuano a definire come tra le più sicure al mondo”.
Alla scarsa chiarezza istituzionale si affianca la comunicazione stigmatizzante dei media: “le persone gravide vengono definite impropriamente madri, non si parla di feto o di embrione ma di bambino. Se c'è una notizia che riguarda l'aborto nel titolo si affiancano parole come “choc” o “dramma”. Gli articoli sull'interruzione volontaria di gravidanza viene corredato, il più delle volte, da foto di donne disperate. Tutto questo, che all'apparenza sembra soltanto residuale, contribuisce attivamente ad alimentare una cultura e un immaginario che connota l'aborto inevitabilmente come un'esperienza negativa”.
Chiarito il quadro, trovare la soluzione. Di Martino non è (ancora) ministra della salute, ma nulla ci vieta di immaginarlo: il suo programma è già chiaro (Meloni, se leggi, quando te pare).
Domani ti svegli ministra della salute. Quali sono le prime cose che fai per rendere l’aborto accessibile e garantito?
Rendere la contraccezione gratuita e ripristinare l'obbligo di avere i contraccettivi di emergenza in farmacia.
Ripartire dai consultori - oggi completamente smantellati - non solo rifinanziandoli, ma anche proponendo una loro rilettura come luoghi transfemministi e non solo medicalizzati.
Rivedere la questione dell'obiezione di coscienza proponendo soglie minime per ogni presidio ospedaliero di almeno il 60% di personale non obiettore per garantire i servizi.
Ripensare la legge 194, una legge vetusta e assolutamente inattuale. Come prima azione, proporrei l'eliminazione dell'obbligo di una settimana di riflessione prima di poter accedere all'aborto, estenderei l'uso del farmacologico a 10 settimane prevedendo la possibilità di effettuarlo da casa in telemedicina, la possibilità di effettuare l'aborto chirurgico anche a medici non ginecologi previa adeguata formazione e la somministrazione eventuale del farmacologico anche al personale ostetrico.
Introdurre l’obbligo per gli studenti di medicina di studio della pratica abortiva, cosa che non sempre viene fatta, per assurdo, e mi focalizzerei sulla formazione continua dei medici in ambito riproduttivo, soprattutto sulle questioni di genere.
Insomma, cambierei praticamente tutto, motivo per cui non sarò mai ministra della salute.
Dalla teoria alla pratica, IVG ho abortito e sto benissimo può aiutarvi in tanti modi: ricevere informazioni accurate e precise sull’interruzione volontaria di gravidanza, reperire il modello di certificato per IVG che vi serve, consultare l’elenco di medici e strutture consigliate in base a esperienze concrete, ricevere test di gravidanza gratuitamente in caso di necessità e chiedere di essere accompagnate a farlo.
“Il momento del test di gravidanza può generare molta ansia. Molte persone, nel rischio di non sapere come muoversi di fronte a una gravidanza indesiderata, procrastinano la possibilità di effettuare il test che, invece, è uno strumento fondamentale per avviare l'iter abortivo nel minore tempo possibile” racconta Di Martino.
Attraverso la nostra azione è possibile essere accompagnate ad effettuare il test, attraverso messaggi, chiamate o videochiamate, a seconda della volontà della persona, e nel caso di risultato positivo, laddove la gravidanza sia indesiderata, fornire immediatamente tutte le informazioni utili per un iter corretto.
Laddove ce ne fosse bisogno, l’acquisto del test è coperto dalle donazioni su cui il progetto si fonda “perché non dimentichiamoci che parliamo di costi. Trovo assurdo, parlando di salute sessuale e riproduttiva, che le persone debbano sostenere dei costi e che quindi questi strumenti siano preclusi a una parte della popolazione che non può averne accesso. La nostra è un'azione di sostegno, anche economica, a chiunque ne avesse la necessità. Ricordiamoci sempre che la colpa non è mai di chi non ha i mezzi e gli strumenti, ma di uno Stato colpevole che invece di annullare la disparità sociale, non fa altro che alimentarla”. Onestamente, nothing to add.
📰 Rassegnami
Rinunciare all’aborto in cambio di soldi: cosa abbiamo scoperto sui forum femminili
Per Tpi, Federica Di Martino raccontala storia di una ragazza che mentre cercava parole di conforto, informazioni pratiche e consigli circa la sua volontà di abortire, si è scontrata con una realtà composta da persone che hanno fatto di tutto per dissuaderla. Le hanno offerto soldi e ricariche telefoniche, le hanno promesso pannolini e occupazioni. Le hanno scritto messaggi insistenti, passando per il terrorismo psicologico fino ad arrivare alle storie strappalacrime di chi aveva interrotto la gravidanza e non aveva ancora superato il dramma. L’obiettivo, uno solo: desistere dalla sua legittima scelta.Ragioniamo con serenità sulla gestazione per altri (e altre)?
Parlare di gestazione per altre e altri è complicato e richiede un’elaborazione onesta, laica e collettiva. Tutti aggettivi, come ha fatto notare Michela Murgia, con cui non si può definire il dibattito dominante: i toni sono spesso aggressivi, si prende in continuazione parola al posto di altre e di altri, e le parole stesse sono usate come accette e senza alcuna cura. Se non sei con me sei contro di me. Giulia Siviero mette in ordine le idee.
India: una spilla da balia contro le molestie in autobus
Le testimonianze riportate dalla Bbc parlano di pendolari che, nella Calcutta di 10 anni fa, erano costrette a usare tutto ciò che avevano per allontanare gli uomini nei tram sovraffollati. Qualcuna usava degli ombrelli, altre tenevano le unghie lunghe e appuntite per graffiare le mani che si allungavano in mezzo alla folla, altre ancora indossavano i tacchi a spillo per poter pestare i piedi dei loro molestatori. La spilla da balia, utilizzata per fissare 2 o più tessuti, era un piccolo alleato sempre presente. E lo è ancora.
La Micropedia: sfogliala per riconoscere le microagressioni
Potrebbero sembrare un complimento (" Sei bellissima per una ragazza transgender "), un commento innocuo (" Da dove vieni veramente? "), o un'azione inconscia ( attraversare la strada per evitare una persona razzializzata ): in realtà si tratta di microaggressioni, ovvero affronti e insulti quotidiani che i gruppi emarginati affrontano e che derivano da pregiudizi e/o stereotipi impliciti.
“Noi Famiglie Arcobaleno sapevamo che Meloni ci avrebbe dato la caccia. Ma ha sbagliato i conti”
“È bullismo di Stato. Ma la società civile fa il tifo per i nostri figli”: le parole di Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno, raccolte dal giornalista Simone Alliva.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Lucy Salani
“Era terribile durante il fascismo essere transessuale - aveva raccontato Lucy Salani alla festa dei Sentinelli - mi picchiavano e mi facevano fare delle cose schifose. Mi imbrattavano con il catrame e mi hanno rasato. Ho subito anche questo, ho preso le botte dai fascisti perché mi ero atteggiato a donna e per loro questo era inconcepibile”.
Lucy Salani è considerata l’unica persona transgender ad essere sopravvissuta, in Italia, alle persecuzioni nazi-fasciste e ai campi di concentramento: avrebbe compiuto 99 anni ad agosto e invece ci ha lasciat*. Resta quello che deve restare: la sua forza, la sua storia, l’eredità che avremo cura di tramandare con amore come la stessa attivista ha fatto nella sua vita.
Nata a Fossano, in provincia di Cuneo, faceva parte di una famiglia antifascista di origine emiliana, con cui si è trasferita a Bologna. Il padre e i fratelli, però, la rifiutavano, percependo la sua «diversità». “Mia madre era disperata” raccontava Lucy nel documentario sulla sua vita, C’è un soffio di vita soltanto di Matteo Bortugno e Daniele Coluccini.
Richiamata in servizio dall'esercito italiano nell'agosto del 1943, Lucy Salani si dichiarò omosessuale, ma venne inviata a Cormons, in artiglieria. Disertò dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, tornando a Bologna e ritrovando i propri genitori sfollati. Temendo di averli messi in pericolo con la diserzione, abbandonò la clandestinità e, costretta a unirsi ai fascisti o ai tedeschi, si unì all’esercito nazista a Suviana, ma disertò anche quello, buttandosi nell'acqua gelida e scappando dall'ospedale di Bologna in cui era stata ricoverata per la polmonite che l’aveva colpita.
Visse a Bologna lavorando come prostituta, ma venne fermata per la sua diserzione e rinchiusa in un casolare - da cui scappò - e poi in carcere. Processata, fu condannata a morte, ma riuscì a ottenere la grazia e la condanna si tramutò in lavori forzati in un campo di lavoro a Bernau, nella Germania meridionale. Sopravvisse per sei mesi nel campo di concentramento, fino alla liberazione da parte delle truppe americane nell'aprile del 1945, quando aveva vent'anni.
Dopo la liberazione, Lucy Salani cominciò a lavorare come tappezziera, vivendo tra Roma e Torino (dove adottò una bambina, Patrizia). Nella metà degli anni 80 si sottopose all’operazione di riattribuzione del sesso, ma si rifiutò di cambiare il nome con cui era stata registrata alla nascita, Luciano: “Il nome è sacro, me l’hanno dato i miei genitori”, diceva.
Come scrive Giulia D’Alea su Il Manifesto:
Di Lucy Salani si è detto spesso che abbia vissuto tante vite: l’infanzia come Luciano, la detenzione nel campo di concentramento di Dachau da «omosessuale», poi l’affermazione della sua identità di donna trans. La sua, in realtà, è la storia di una tenace fuga durata decenni, per poter vivere appieno l’unica vita che le apparteneva davvero. Quasi un secolo di esistenza, che ha valicato i confini dell’ordinario per poi concludersi nell’abbandono alla quotidianità degli affetti.
🌱 La parola
Gestazioni per altri
Il procedimento per cui una donna mette a disposizione il proprio utero e porta avanti la gravidanza per conto dei o delle committenti, che possono essere single o coppie, sia eterosessuali che omosessuali.
Perché è sbagliato parlare di “maternità surrogata” o “utero in affitto”? Come indica Siviero nel pezzo già attenzionato:
l’ espressione “maternità surrogata” è completamente sbilanciata sulla funzione materna e insiste su una specie di naturalità obbligatoria che starebbe nel legame di gestazione.
parlare di “utero in affitto” prevede o la riduzione della donna a una sola parte del proprio corpo o presuppone la fantasia di un utero vagante, un utero con la U maiuscola, a disposizione di tutti.
In entrambi i casi (maternità surrogata e utero in affitto) viene meno la circolazione di un pensiero, di una relazione, di una consapevolezza e di una libera scelta.
🍸 Coraggio liquido
Fresco e piccante come questa primavera: Pink Pepper è un gin potente e audace, nato da una miscela di estratti di bacche di pepe rosa raccolti a mano e ginepro. Si aggiungono miele locale (la distilleria si trova in Francia, a Cognac) e quattro altre botaniche che vengono infuse singolarmente. Ottimo anche da solo per un momento di pace piccante (sì, spendo il mio stipendio in gin).
❤️ L’amore è una playlist
(da accompagnare al gin sopra)
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: si sta, in primavera, come Lucia Annunziata con la ministra Roccella.
Cura: un treno verso il mare e l’amore che non devo spiegare.