Il grande equivoco della carriera, il presente esteso per cui “pensa a te” significa “lavora e affermati” e “maternità” significa “rinuncia”. E allora “fallo dopo, rimanda, pensa a te, poi non dormi, pensa di avere il potere dei tuoi desideri ma intanto plasmali sulla base di quello che lo sforzo produttivo detta”.
Non so - e non voglio - dire esattamente cosa maternità è: partire dalle assunzioni soggettive è una postura da cui imparo. Se di amore si tratta, rinuncia non è la parola che mi viene in mente per descriverla. Ma moltiplicazione, potere. Eppure, quello di rinuncia e sacrificio, è il significato che abbiamo socialmente costruito. Lo stesso per cui “incinta e assunta!” diventa una notizia che rimbalza sui giornali. Lo stesso per cui l’altro lato della medaglia è il lavoro estenuante in cambio della libertà e dell’autorealizzazione. Lo stesso per cui la scelta delle dimissioni della ex premier neozalanedese Jacinda Ardern diventa un atto di coraggio. Mollare per vivere, mollare per fare cose semplici, lecite, “normali”: lavorare, potersi sposare o no, stare in famiglia, non dover concentrare tutto in un weekend.
Cos’è che rivendichiamo esattamente nella liberta di dirci madri e lavoratrici? Una congiunzione che agli uomini non è richiesta? Perché l'’identità delle donne va a compartimenti? Definirsi è un processo fluido e complesso che, volendo, si può scegliere pure di non intraprendere. Eppure, di questo aut aut che caratterizza la vita delle donne, discutono gli uomini: bianchi, istruiti e di reddito medio-alto.
“Un lavoro massacrante è il prezzo della parità?”. è questo che leggo in una copia del Quotidiano donna che Emanuela Moroli conserva a casa sua in bellissime e profumatissime copertine a fiori. Io osservo come se fossi in chiesa, vedere quelle pagine è la mia preghiera, la mia messa laica.
Quotidiano donna è stato un settimanale femminista pubblicato per la prima volta il 6 maggio 1978 a Roma, come supplemento al Quotidiano dei lavoratori di Avanguardia operaia. La prima redazione fu costituita da Emanuela Moroli (qui in radio con me), direttrice responsabile, Chantal Personé e Marina Pivetta, alle quali si aggiunsero in seguito Grazia Centola, Irene Agnello, Valeria Moretti, Evelina Muré, Virginia Onorato, Mariella Regoli, Oria Gargano, Loretta Bondì, Roberta Sibona. Vi pubblicavano vignettiste come Ellekappa, Giuliana Maldini, Iscia e Monica Incisa.
La sede del giornale era in una delle stanze occupate di palazzo Nardini, in via del Governo vecchio 39, allora "Casa della donna" di Roma, sede di numerosi gruppi e collettivi femministi.
Gli articoli non erano firmati e non c'erano editoriali; il dialetto era usato anche nei titoli. La pubblicazione era in formato tabloid e rifiutava ogni forma di finanziamento e inizialmente anche la pubblicità, vivendo delle libere sottoscrizioni delle lettrici. Gli argomenti più presenti, insieme a quello delle violenze e delle discriminazioni subite dalle donne, erano sessualità, aborto e maternità.
50 anni dopo siamo sempre lì: il nostro sistema di welfare - insieme alle nostre istituzioni (politiche, accademiche, scientifiche) - non risponde alla domanda (ancora: il lavoro massacrante è il prezzo della parità?) - ma consolida e perpetua precisi ruoli di genere che relegano le donne a un unico ruolo. O madre o lavoratrice. In entrambi i casi è il senso del sacrificio e della devozione - che ti appartiene in quanto donna - a fare da fil rouge.
Sei costretta a scegliere quando non hai una rete di supporto alle tue spalle. Sei costretta a scegliere quando il lavoro in casa è tuo e solo tuo. Sei costretta a scegliere quando il tempo è limitato e tu devi fare quello e quell’altro. Se non scegli, il lavoro estenuante diventa il prezzo della parità.
Il contesto istituzionale e sociale ha una precisa responsabilità in questo perché può veicolare una cultura di genere precisa attraverso l’adesione a politiche che indicano quale sia il ruolo e lo spazio sociale di uomini e donne. Le politiche europee di parità, ad esempio, si traducono ormai quasi unicamente come politiche di conciliazione dei tempi di vita-lavoro, spesso concentrate unicamente sulle madri lavoratrici. Questa evidenza mostra uno dei limiti della strategia di gender mainstreamig (recupera la seconda newsletter per sapere cos’è) adottata dall’Unione europea, criticata di essere troppo focalizzata sulle donne senza considerare sufficientemente la dimensione familiare.
In questa crepa si innesta la trappola del lavoro capitalista come emancipazione: quando la maternità è perpetuata come rinuncia, il lavoro diventa salvezza ed emancipazione.
Questo approccio rischia di supportare la parità solo in modo apparente e con risultati disomogenei perché all’investimento sulla madre lavoratrice non corrisponde una pari valorizzazione del lavoratore padre per riequilibrare la legittimazione sociale del doppio ruolo di genitore lavoratore.
Appiattire il dibattito sulla parità nella dimensione lavorativa è riduttivo e costituisce un altro equivoco.
Come osserva la studiosa Catherine Rottenberg:
“le donne borghesi professionalmente in ascesa vengono sempre più spesso incoraggiate a investire prima su loro stesse e sulle loro carriere e a posporre la maternità a qualche momento successivo delle loro vite. Tale spinta, sostenuta dall’ascendente femminismo neo liberista, basa la sua forza sulla promessa di un futuro appagamento individuale e sull’invito a compiere un intelligente investimento su di sé nel presente per garantire rendimenti migliori nel futuro”.
Promessa che, per molte donne, resta comunque disattesa.
Secondo gli ultimi dati ISTAT, su 334mila occupati l’88% sono uomini. A dicembre 2022 rispetto all’anno precedente i posti di lavoro in più occupati da uomini sono 296mila contro i 38mila occupati da donne.
Dunque lo dirò, con tanto amore e tanta rabbia: la parità di genere nel mondo del lavoro, se non è accompagnata a quella nell’ambito familiare e domestico, rimane una chimera. L’ennesima promessa capitalista di un presente esteso in cui basta scommettere su di sé per dirsi libere. Volere non è potere. Servono strutture, condizioni, processi, meccanismi, politiche.
La libertà “di”. Non la libertà “da”. In questo ribaltamento, tutto il senso di una rivoluzione.
📰 Rassegnami
La solitudine delle madri: basta chiedere sacrifici alle donne
Mi piacerebbe parlare di genitorialità, anzichè di maternità. E forse un giorno potremo farlo, potremo abbandonare l’ideale materno come assoluta rappresentanza di una funzione che di fatto può essere svolta da entrambi i genitori, ma al momento pare che ancora tutta la responsabilità e il peso di farsi travolgere dallo tsunami del cambiamento sia a carico della donna.
Il Lazio e le altre regioni in cui la pillola anticoncezionale è gratuita
Da febbraio il contraccettivo ormonale sarà disponibile gratuitamente nei consultori del Lazio. La regione però non è l'unica - né la prima - ad aver introdotto questa norma.
Cambia il codice degli appalti. E scompare la certificazione di genere
Nel testo trasmesso alle Camere si menziona l’articolo 46bis, ma non la misura che obbliga le aziende a puntare sull’inclusione. Perché?
Le donne delle Black panther
“La libertà è molto di più di un elenco di diritti sulla carta”, scrive Angela Davis nella prefazione a Comrade sisters. Come si può infatti lottare per i propri diritti a digiuno? Il Bpp distribuisce la colazione gratuita per i bambini prima di andare a scuola, costruisce una rete di assistenza sanitaria, corsi di autodifesa e organizza scuole popolari per garantire una vita degna alle comunità afroamericane.
La cura di sé è importante, ma non dovremmo confonderla con l'azione femminista.
Se siamo disposti ad accettare azioni del tutto insulari come nostre priorità femministe, quando arriveremo alle cose importanti, le cose che impediscono a coloro che hanno meno capitali di godere delle stesse libertà per cui hanno combattuto con noi? Se rendiamo il “prezzo di accesso” al femminismo così basso da poter sentire l'autostima positiva dell'azione femminista per fare cose che avvantaggiano solo noi stessi, dov'è l'impulso ad agire per gli altri? (Sottoscrivo pure le virgole di questo pezzo potentissimo).
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Matilde Serao
Innovatrice instancabile, capace di rompere tutte le convenzioni: Matilde Serao è stata una giornalista e scrittrice napoletana che, mettendo a segno numerosi primati, ha aperto la strada della libertà – professionale e personale - per tante donne. Nel 1882 è la prima donna redattrice nella storia del quotidiano romano Capitan Fracassa. Prima italiana ad aver fondato e diretto un quotidiano, Il Corriere di Roma, esperienza successivamente ripetuta con Il Mattino e Il Giorno. Negli anni venti fu candidata sei volte, senza mai ottenerlo, al Premio Nobel per la letteratura.
Coraggiosa, irriverente della morale del tempo, raggiunse ambiziosi traguardi professionali inaugurando un nuovo modo di fare giornalismo inteso come vocazione e strumento di formazione e testimonianza.
Il giornalismo era, per Matilde Serao, terreno di osservazioni e costumi: al racconto di moda, cibi, sport, eventi mondani e le novità del progresso, si accompagnava un’attenzione particolare a fatti e avvenimenti sociali, costituendo la misura del suo stile.
Sia la critica letteraria, sia parte degli studi di genere, hanno spesso messo in luce come la concezione delle donne che emerge dalla sua attività giornalistica sia una visione conformista e borghese, molto simile all’immagine femminile veicolata da scrittori uomini: in realtà, pensare che Serao non abbia indicato una strada di emancipazione significa limitarsi a una lettura superficiale dei suoi scritti.
La sua proposta era fortemente e giustamente condizionata dalla realtà in cui era immersa: a differenza di molte altre femministe del tempo, Serao sembra paventare un movimento dal basso verso l’alto, che riducesse a monte le cause di esclusione delle donne dalla sfera pubblica, per poi procedere sul più difficile percorso dell’uguaglianza.
Particolarmente indicative sono le pagine de Il Ventre di Napoli: un j’accuse sullo sfruttamento e sullo stato di profonda povertà e miseria in cui viveva la maggioranza della popolazione napoletana, capace di sottolineare come il genere femminile versasse in una situazione ancora più disperata a causa del doppio compito svolto dentro e fuori l’ambito familiare, insistendo sul tema dell’istruzione soprattutto per le ragazze più indigenti. E ancora: in tre articoli apparsi nel luglio 1886 nel periodico L’Istitutore, Serao documenta le condizioni di disperazione e miseria in cui vivevano le maestre di scuola dell’Italia post-unitaria, rivolgendosi direttamente al ministro della Pubblica istruzione Michele Coppino.
In un mondo dominato dagli uomini, quello di Serao viene definito un femminismo antiemancipazionista: nei suoi numerosi articoli giornalistici, esprime la sua posizione contro in divorzio, il diritto di voto alle donne e le suffragette. Eppure, nei suoi romanzi e nelle sue novelle, a essere centrali sono le protagoniste femminili oppresse dalla società patriarcale che le costringe a vivere secondo i dettami imposti. Uno “sdoppiamento” interpretato come un modo per proteggersi: dietro queste posizioni conservatrici, Serao poteva mantenere più facilmente la propria collocazione lavorativa fino ad allora tipicamente maschile e ottenere quello che sosteneva e, nei fatti, otteneva:
“assicurare alla donna il diritto sacrosanto di vivere e darle i mezzi per esercitarlo sottraendola alle necessità di un controllo o di un appoggio maschile. questo, se accetto la parola, è femminismo”
🌱 La parola
Stereotipizzazione di genere
Pratica di attribuire ad una donna o ad un uomo specifici attributi, caratteristiche o ruoli solo per la ragione della sua “appartenenza” al genere femminile o maschile (Meloni che piagne perché le madri sono” un po’ così”: emotive).
La pratica produce gli stereotipi di genere che spesso si traducono in violazioni dei diritti e delle libertà fondamentali di donne o uomini.
Nella vita quotidiana gli stereotipi di genere possono limitare lo sviluppo dei talenti e delle capacità naturali di ragazze e ragazzi, donne e uomini, nonché le loro esperienze educative e professionali e le opportunità di vita in generale.
Gli stereotipi sulle donne, ad esempio, sono la causa di atteggiamenti discriminatori radicati, valori, norme e pregiudizi usati per giustificare e mantenere le relazioni storiche del potere degli uomini sulle donne e gli atteggiamenti sessisti che frenano il progresso delle donne.
🔥 Compiti per il weekend
Inaugurare bene il mese dell’amore: Roma, da Industrie fluviali tutta la poesia e la crudeltà dei triangoli amorosi. Terzo incomodo è un podcast dedicato alle storie di amanti delusi, arrabbiati, calcolatori e fragili. Da Gustave Flaubert a Anaïs Nin, da Peggy Guggenheim a Vladimir Majakovskij. A raccontarli, in ogni puntata, una sola voce: la parte lesa.
Giovedì 9 febbraio, dalle 18.00, l’autrice Paola Moretti presenta Terzo Incomodo insieme a Ilaria Gaspari e a Giulia Caminito.
🍸 Coraggio liquido
Un mix di 6 botaniche, l’acqua del Mar Mediterraneo e un ingrediente segreto: MuMa Gin è Puglia. Quella segreta e complessa che, con le Instagram stories di agosto, non c’etnra niente. Spigolosa e accogliente. Florida e radicata. Sfaccettata e distintiva.
❤️ L’amore è una playlist
Poi dici cose giuste al tempo giusto.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: l’amore e i sogni. Solo questo mi protegge.
Cura: farli avverare, distribuirne un po’ a settimana. Spargerli in giro, vedere che succede. Cominciare da Piazza Plebiscito e Liberato.