Se a una cena in cui tot “maschi bianchi etero cis etc etc.” ironizzano sul loro essere “maschi bianchi etero cit etc etc” cercando di risultare simpatici e consapevoli di battaglie che - certo, so pure le nostre ma di base siamo spettatori…Annate voi, sto qua. Intersezionalitààààh! - io probabilmente non mi sforzerò di alzare le labbra dal mio calice di vino per spiegarti che così non è. Ma ti guarderò con grande tenerezza, profondissima empatia e un certo grado di comprensione tale per cui capirò che non sei nemmeno pronto a sentirti dire che no, non sei simpatico. Sei patetico.
Patetico: dal latino pathetĭcus,”sofferenza”.
La sofferenza, in questo caso, è insofferenza: a una postura, quella femminista, che dovrebbe giovare a tutt*. Donne e uomini. E che invece fa sentire in difetto le donne e in difensiva gli uomini. Vuol dire che qualcosa stiamo sbagliando. Da entrambe le parti.
Se da una parte può vacillare una comunicazione che sia chiara e limpida - la parola a misura nostra non lo è mai stata, il linguaggio lo abbiamo dovuto inventare e lo stiamo inventando - dall’altra manca l’ascolto. O meglio: manca l’ascolto onesto. Dove per onestà intendo riconoscersi nella diversità.
Lo spiegone storico filosofico direbbe che, il femminismo della differenza, su questo si basava: riconoscersi non complementari, ma differenti. E in questa differenza ritrovarsi. Non un obiettivo escludente ma la valorizzazione dell’alterità: non ho bisogno di esserti complementare se mi riconosci diversa. La centralità è sul soggetto. soggetto senza maiuscola, senza universale maschile.
Qualche sera fa, a restituirmi questo amore, è stata Carla Lonzi che - più che icona o madre simbolica - è per me riconoscimento.
Lonzi non aveva una scrittura lineare, ma uno strabordante istinto alla frase. Che probabilmente le sarebbe piaciuto trovare davanti a tre gin tonic. Anche nel linguaggio, quello che insegnava - senza voler insegnare - è sottrarsi agli spazi imposti.
Vale solo per donne? No. Vale più per le donne perché ne hanno più bisogno per una questione di sopravvivenza. Ma non solo per loro.
“La donna come soggetto non rifiuta l’uomo come soggetto, ma lo rifiuta come ruolo assoluto. Nella vita sociale lo rifiuta come ruolo autoritario” scriveva Lonzi nel Manifesto di Rivolta femminile comparso sui muri di Roma nel 1970. Ci sono parole di Lonzi in cui ancora oggi si può entrare in conflitto, la sua scrittura non lascia pace: è elemento non addomesticato che, in un modo o nell’altro - che sia per contrapposizione, rabbia, amore o emozione - ti porta a ragionare.
Un po’ quello che avrebbe potuto portare, in un circolo “virtuoso”, il discusso spot Esselunga in cui, in sostanza, nella storia di una famiglia con genitori che hanno divorziato è chiaramente la donna a portare il carico emotivo maggiore della questione.
Quello che a livello comunicativo è un prodotto fatto in modo “lineare” rispetto all’obiettivo - costruzione di immagini (significante) coerente rispetto al significato, capacità di commozione, scelta stilistica rispondente al messaggio, copy in chiusura perfetto rispetto alla narrazione - è a livello sociale uno strumento mediatico preciso che, come tale, risponde alla sua funzione: veicolare un messaggio. E il messaggio è sempre lo stesso: la mamma se perde la figlia al supermercato, poi la ritrova, la piccola è triste, un certa aurea di “incompiuto” attraversa le loro giornate sino a che è il papà a dare il twist alla narrazione.
L’aria cambia, la piccola protagonista è più rilassata, la donna scruta dalla finestra la piccola che raggiunge il papà e nei suoi occhi si intuisce una nostalgia, un rimpianto, un boh.
Le pesche come oggetto di valore della narrazione che, per dirla alla Propp (ndr, semiotico che nella sua Morfologia della fiaba analizzò le origini storiche della fiaba nelle società tribali e nei riti di iniziazione traendone una struttura valida per tutte le narrazioni) è quello a cui l’eroe vuole ricongiungersi: l’unione familiare, la famiglia felice, il Mulino bianco.
Chiaramente lo stesso filo narrativo può prestarsi a diverse interpretazioni ma, a grandi linee, chest è. La colpevolizzazione delle donne - che sia Elodie nudah nel SUO E RIBADISCO SUO nuovo video o la protagonista dello spot Esselunga - è ormai il filo rosso delle nostre esistenze. L’obiettivo è normalizzarla, a partire dall’esaltazione di valori “positivi”: che male c’è, d’altronde, a celebrare la famiglia? (Poi ci chiediamo perché una donna che torna a lavoro dopo la maternità si senta in colpa).
Se quello spot ti ha suscitato qualcosa, significa che sei una persona di merda/sessista/maschilista? No. La differenza, come insegna Lonzi, la fa discernere: riconoscere il contesto, prestare attenzione al percorso che fanno quelle emozioni “indotte” e perché, ragionare sulle immagini date per scontate, sottrarsi agli spazi imposti ancora una volta. Un gesto liberatorio per uomini infelici e donne stanche.
L’endorsement di Meloni allo spot, così come il fatto che Esselunga abbia fatto da main sponsor agli Stati generali della natalità, conferma quella che è un’esigenza di cui dobbiamo cominciare ad essere consapevoli tutt*: il femminismo è stato il primo momento politico di critica storica alla famiglia e alla società.
Non serve “aderirvi” perché, vostro malgrado, vi appartiene ogni qual che vi è stato imposto uno spazio senza che lo aveste voluto e pur avendo esplicitato di non essere a vostro agio.
Essere persone femministe non è una definizione, non ha a che fare con un’unica modalità: il femminismo - per come la vedo io e sottolineo io - è una sedia scomoda da cui ci si alza spesso. Eppure, a metterci i piedi sopra, si riesce a guardare più lontano.
A cena, dunque, my2cents: non spiegate niente. Spostate la sedia e/o aggiungetela. C’è sempre un amico in più che può essere patetico. Ma che di base sta soffrendo. Il patriarcato questo fa. Cedi la sedia e digli che te la manda mamma.
📰 Rassegnami
In Italia è quasi impossibile ricorrere all’aborto farmacologico
Nel caso dell’aborto farmacologico, ai ben noti problemi dell’accesso all’ivg in Italia (come l’obiezione di coscienza), si aggiunge un ulteriore ostacolo: la RU486 è oggetto di una vera e propria campagna di disinformazione ed è presentata come “l’aborto facile” o addirittura come “un veleno”. Il fatto poi che sia difficilmente reperibile sul territorio, rende questa pillola un oggetto ancora più alieno, nonostante per l’Oms sia sia più sicura dell’aborto chirurgico.
Pubblicità e molestie, il silenzio non protegge le vittime
Continua, su Alley Oop, l’approfondimento del tema: Giulia Segalla è rimasta nell’ombra per 12 anni, anche quando del suo caso di molestie sessuali nel mondo delle agenzie pubblicitarie milanesi si parlava e si discuteva. Copywriter, a 20 era stagista in una grande agenzia milanese, un sogno che per lei si è trasformato troppo rapidamente.
Il femminismo dimenticato dalla storia del Pakistan e dell’India
L’effetto di cancellazione storica operato sia in epoca coloniale sia in quella postcoloniale è tale che oggi le ragazze e le donne in Pakistan sanno poco o nulla delle pioniere del femminismo.
Se i motori di ricerca hanno reso i processi di conoscenza più democratici, gli algoritmi si portano dietro gli stereotipi e i pregiudizi di chi li genera. Una riflessione a partire da Algorithms of oppression di Safiya Umoja Noble.
Dovevo educare un’AI, sono diventata una macchina
Irina è nata a Mosca ma è emigrata negli Stati Uniti, dove frequenta un Master universitario di scrittura creativa. Come molti suoi coetanei con le sue stesse passioni ha bisogno di soldi. Così trova lavoro in una delle tante aziende che cercano persone per addestrare le proprie chatbot a sembrare umane. Deve insegnare a Annie – una chat bot che si occupa di case e aiuta a confrontare i prezzi degli affitti – a rispondere bene e a gestire situazioni complicate, in modo che non sia più necessario l’intervento degli agenti immobiliari in carne e ossa. Inizialmente il lavoro sembra andare bene: Irina lavora 5 ore al giorno e la paga è buona. Quando però l'azienda che gestisce Annie viene venduta, le cose iniziano a cambiare: le ore di lavoro aumentano e l'azienda decide di punire chi non risponde entro due minuti alle domande dei clienti. Irina inizia a notare che il suo modo di organizzare i pensieri sta diventando sempre più meccanico e anche se in teoria avrebbe del tempo libero per scrivere, ha sempre meno idee: sta perdendo la vena creativa, non riesce a concentrarsi e i suoi pensieri assomigliano sempre più a quelli di un automa. Cecilia Sala ce ne parla nella puntata di Stories.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Cecilia Mangini
Perugia celebra Cecilia Mangini, prima documentarista italiana. Una retrospettiva al Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria e una mostra fotografica.
Torna per la sua nona edizione il PerSo – Perugia Social Film Festival – evento internazionale dedicato al cinema del reale. Tante le questioni al centro dei film in concorso: tematiche sociali, geopolitica, crisi climatica, migrazioni e diritti, la vita delle persone e degli ecosistemi a diverse latitudini e prospettive. Una selezione ufficiale che vede lavori provenienti da 27 Paesi.
L’edizione 2023 del festival si apre al MANU (Museo Archeologico Nazionale dell’Umbria) con tre proiezioni dei lavori di Cecilia Mangini, regista e fotografa (Mola di Bari 1927 – Roma 2021).
Autrice di lungometraggi e oltre 40 cortometraggi, in parte insieme al marito Lino Del Fra, considerata la prima donna ad aver realizzato documentari in Italia, è stata pioniera del cinema del reale. Durante la sua carriera ha documentato la storia del Paese a partire dal secondo dopoguerra, dedicandosi a raccontare i problemi del Mezzogiorno, le periferie romane, gli universi femminili e a dare voce a chi si trovava ai margini della società, dalle fabbriche alla campagna, analizzando la trasformazione del paesaggio e i drammi sociali legati al boom economico. Ha iniziato a lavorare come fotografa, preferendo alla fotografia in studio quella di strada.
Durante gli anni Sessanta indaga l'umanità delle fabbriche. È la Rai che le commissiona un'inchiesta, Essere donne (1965), che disattende le aspettative auto-promozionali delle aziende che le hanno permesso di intervistare le operaie, tanto che il cortometraggio - pur ricevendo consensi a livello internazionale - viene escluso dalla programmazione in sala dalla Commissione del Ministero del Turismo e dello Spettacolo.
Dello stesso anno è Tommaso, la storia di un ragazzo brindisino con il sogno di entrare nella grande fabbrica e del 1966, Brindisi, sull'impatto del petrolchimico Monteshell sulla città; due documentari lungimiranti e premonitori del disastro ambientale e sociale della più grande acciaieria d'Europa, l'Ilva, situata a Taranto, per molti mesi del 2012 oggetto delle prime pagine della stampa italiana. Proprio nell'estate del 2012, Mangini torna nella sua terra natia, tra Brindisi e Taranto, per girare un documentario in collaborazione con Mariangela Barbante, In viaggio con Cecilia che le offre la possibilità di registrare a caldo le voci delle persone che quotidianamente vivono sulla propria pelle le conseguenze – spesso mortali - di cinquant'anni di industrializzazione selvaggia.
🌱 La parola
Intersezionalità
Ovvero l’intreccio contemporaneo di oppressioni che deriva dalla sovrapposizione o intersezione di diverse identità sociali nella stessa persona.
Le prime a capire che sarebbe stato necessario tenere insieme oppressioni, razzismo e identità sono state le femministe lesbiche nere del collettivo Combahee River Collective, attivo a Boston, negli Stati Uniti, tra il 1974 e il 1980, che scrivevano così:
Non appena le donne, in particolare […] le privilegiate donne bianche, hanno iniziato ad acquisire un potere di classe senza sbarazzarsi del sessismo che avevano introiettato, le divisioni tra donne si sono fatte più intense. Quando le donne di colore hanno criticato il razzismo all’interno della società nel suo complesso richiamando l’attenzione sui modi in cui il razzismo ha plasmato e influenzato la teoria e la pratica femministe, molte donne bianche semplicemente hanno voltato le spalle alla prospettiva della sorellanza, chiudendo le loro menti e i loro cuori. E questo è stato altrettanto vero quando si è parlato di classismo tra donne.
L’elaborazione “operativa” del concetto arriva da Kimberlé Williams Crenshaw, docente di legge, nera e femminista, secondo cui non si può comprendere l'oppressione e la discriminazione delle donne nere considerando solo il genere o solo la razza: le due categorie si intrecciano, anche nel fare ricerche legali o analisi. Da qui, la metafora del crocevia, cioè dell’incrocio di strade:
[…] L'analogia con il traffico di un incrocio, che viene e va in tutte e quattro le direzioni. Così, la discriminazione può scorrere nell’una e nell’altra direzione. E se un incidente accade in corrispondenza di un incrocio, può essere stato causato dalle macchine che viaggiavano in una qualsiasi delle direzioni e, qualche volta, da tutte. Allo stesso modo, se una donna nera si fa male a un incrocio, il suo infortunio potrebbe derivare dalla discriminazione sessuale o dalla discriminazione razziale [...] Ma non è sempre facile ricostruire un incidente: a volte i segni della frenata e le lesioni semplicemente stanno a indicare che questi due eventi sono avvenuti simultaneamente; dicendo poco su quale conducente abbia causato il danno.
🍸 Coraggio liquido
Il “miglior gin del mondo”, secondo il Wall street journal (nel 2003), lo ha fatto una donna: è Lesley Gracie e ha creato l’Hendrick’s, il distillato che ha iniziato l’avventura dei super gin.
“Io facevo la chimica in un’azienda farmaceutica – racconta Leslie al Corriere-, mi occupavo di tutt’altro. Poi, sono stata assunta dalla William Grant” (il maggior produttore di whisky scozzese indipendente dai colossi multinazionali). In azienda, Lesley si appassiona alla distillazione: “Mi occupavo di quello, ero assistente alla distillazione del whisky”. E si mette a pensare al gin. Ma come ci si arriva? Sembra affare del tutto diverso dal malto: “In realtà, non poi così diverso” spiega Lesley: “E comunque, io ho sempre avuto la passione di mescolare erbe ed essenze”. Lesley dice che voleva fare anche “qualcosa di lontano dalla folla dei sapori già sentiti, cambiare proprio direzione”. E ci riesce.
❤️ L’amore è una playlist
Sempre qui.
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: fatica creativa e lacrime in borsetta.
Cura: il potere trasformativo dell’amore, bell hooks.
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