"Sta confondendo il partner?"
Frasi che potrebbero dirvi in ospedale se siete giovani, carine e perfettamente consapevoli di voler esercitare un diritto: quello di abortire.
“Il ginecologo che mi ha visitato è partito chiedendomi se avessi un partner e quale lavoro facesse. Nessuno ha chiesto il mio nome. Nessuno ha chiesto di verificare il mio documento per accertarsi che non fossi minorenne. Ha aggiunto all’ecografia DUE SETTIMANE a quelle effettive, a voce ne ha aggiunte due e per iscritto ne ha aggiunta un’altra ancora, invitandomi a riflettere sul fatto che essendo arrivati così avanti significava che volessimo tenerlo. Non mi tornava il conto. Ho fatto alcuni calcoli e gli ho comunicato che c’era un errore e lui mi ha fatto intendere che forse stavo confondendo il partner”.
Linda Feki, musicista e producer, ha denunciato attraverso i suoi social cosa ha dovuto subire quando lo scorso marzo ha deciso di abortire.
Partire dalle storie personali è il modo più potente che conosco per dare un senso alle “giornate mondiali”: oggi, 28 settembre, è la giornata mondiale per l’aborto sicuro. Ma in Italia abortire non è sicuro, né accessibile. Ne ho scritto per Alley Oop, trascorrendo le ultime due settimane a studiare un report pieno zeppo di storie e testimonianze: da queste si parte per dare forma e sostanza ai numeri.
Ho sentito prima paura, poi rabbia, poi ancora indignazione. E, infine, incertezza: se dovessi un giorno scegliere di abortire non avrò la garanzia di essere supportata da chi invece è formato per farlo (il personale sanitario).
Il rapporto che illustra bene la situazione è curato e pubblicato da Medici nel mondo: “Aborto a ostacoli. Come le politiche di deterrenza minacciano l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza”. Presentato alla Camera lo scorso 23 settembre, mette in luce quello che accade quando si sceglie di abortire e soprattutto sottolineando come la politica stia istituzionalizzando le barriere all’accesso all’aborto, trasformandole in vere e proprie politiche di deterrenza, e come queste abbiano una forte ripercussione sulla salute mentale delle persone che vogliono abortire.
Sono 63.000 le donne che ogni anno in Italia vogliono interrompere la gravidanza e a molte di loro non viene concesso come dovrebbe. “Doveva pensarci prima!”, “Ti sei divertita, ora paghi”, “Deve sentire il battito del feto, è fondamentale!”, “Siamo donne, dobbiamo soffrire”: sono queste le frasi che tante donne si sono sentite dire all’interno di strutture sanitarie che avrebbero dovuto mettere al centro il loro diritto all’autodeterminazione.
Ho riascoltato tutte queste frasi nella speciale installazione che è stata allestita a Roma, in piazza S. Silvestro (potete riascoltarle qui): una teca trasparente con un piccolo ambulatorio ginecologico in cui, nelle cuffie, puoi sentire tutto in modo immersivo. Parole e dolore.
L’iniziativa rientra nella campagna lanciata da Medici nel mondo insieme al report: “The Unheard Voice”. Le voci delle donne sono inascoltate. Le voci delle donne che vogliono abortire ancora di più.
E chiarisco: il tema non è ragionare su cosa l’aborto rappresenti a livello personale. Ma stare dalla stessa parte per la tutela di un diritto. Quello di avere la libertà di scegliere. Ogni esperienza è valida. Ad esempio, la narrazione spesso monodimensionale e drammatica sull’aborto non aiuta le donne e non rispecchia l’esperienza di tutte: l’emozione più comunemente provata dalle donne che abortiscono è il sollievo (lo dice lo studio Turnaway, l'analisi sull’interruzione di gravidanza condotta da Advancing New Standards in Reproductive Health presso l'Università della California).
Tante donne non possono scegliere e, a pesare, è anche il posto in cui nasci: le leggi regionali ostacolano in modo diverso il diritto di abortire. Ad esempio, mette in evidenza il report di Medici del mondo, si fa sempre più diffuso il cosiddetto “modello Marche” che va tutto nella direzione di porre barriere nell’accesso all’IVG e alla salute sessuale e riproduttiva.
Nel 2023, i 66 consultori della regione sono aperti in media 11 ore a settimana, solo 26 rilasciano la certificazione per l’IVG e solo 24 hanno tutte e quattro le figure previste per legge (personale specializzato in ginecologia, ostetricia, assistenza sociale e psicologia). E il territorio è molto frammentato: in sette consultori l’obiezione di coscienza è al 100% tra personale specializzato in ginecologia e ostetricia, e in 18 il tasso va dal 40 al 67%.
Tutto questo avviene non toccando la 194, come vuole la presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
46 anni dopo l’approvazione della legge che ha depenalizzato l’aborto in Italia entro il terzo mese di gravidanza, il tasso di obiezione tra i medici e il personale sanitario risulta essere talmente alto da rendere impraticabile l’interruzione di gravidanza in molte zone del paese.
I passaggi più ambigui della legge 194 (l’articolo 2, che prevede la “collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possano anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”, è quello a cui il governo si è agganciato per legittimare la presenza delle associazioni antiabortiste nei consultori) sono frutto di un necessario compromesso e di un altro tempo. Per approvare la legge, di cui si discuteva da più di cinque anni, fu infatti necessario accettare la struttura proposta dalle forze cattoliche che prevedeva una legge che tutelasse in primis la maternità, non il diritto di aborto, e a cui si può ricorre solo in determinate condizioni e sempre con l’approvazione di un medico.
In queste crepe, oggi, continuano a innestarsi ostacoli pesantissimi all’autodeterminazione delle donne.
Dovrebbe essere un diritto. Invece ci salva ancora aiutare e chiedere aiuto.
📰 Rassegnami
Molestie, anche il luogo di lavoro non è sicuro per le donne: cosa ci dicono gli ultimi dati ISTAT
La fotografia scattata dall’ultimo report dell’Istat è preoccupante e conferma la radice strutturale e sistemica della violenza maschile contro le donne: l’autore delle molestie sulle donne è per lo più un collega maschio (37,3%) o una persona con cui si relaziona nel corso della propria attività come un cliente, un paziente o uno studente (26,2%). Gli uomini vengono importunati, invece, nel 26,4% dei casi da colleghe e nel 20,6% da colleghi.
Università, chi sono le rettrici in Italia e perché sono poche
Sebbene le fila di donne “con l’ermellino” si stiano infoltendo e il tetto di cristallo in accademia inizi a incrinarsi, il gruppo delle rettrici è ancora troppo ristretto e conta 17 donne su 85 partecipanti alla Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (Crui), l’associazione delle università italiane statali e non statali riconosciute.
La povertà in Italia riguarda soprattutto le donne, la cui condizione resta però invisibile ai criteri con cui vengono raccolti e analizzati i dati, che non tengono conto dei fattori culturali e sociali, e non solo economici, che contribuiscono a mantenerla. Le politiche virtuose nasceranno dal ripensamento delle misurazioni.
Meryl Streep all'Onu: “In Afghanistan gatti e scoiattoli hanno più diritti delle donne”
“Oggi a Kabul un gatto femmina ha più libertà di una donna. Un gatto può sedersi in veranda e prendere il sole al viso, può rincorrere uno scoiattolo in un parco. Oggi addirittura uno scoiattolo ha più diritti di una ragazza in Afghanistan, visto che nei parchi pubblici è vietato l’ingresso alle donne dai talebani”, a dirlo è Meryl Streep intervenuta a margine dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. L’attrice statunitense ha, infatti, voluto accendere i riflettori sulla condizione delle donne afghane vittime delle scelte del regime talebano.
Storia del lavoro che non ho scelto
Per tutta la vita, Donatella Di Pietrantonio ha svolto il mestiere di dentista, al quale ha poi affiancato quello di scrittrice. Ora che ha deciso di dedicarsi solo alla scrittura, riflette sulle scelte che ha preso e sul futuro che la attende.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Federica Manzon
Unica donna in cinquina, Federica Manzon ha vinto con Alma (Feltrinelli), che fugge da Trieste e ci ritorna per raccogliere l'improvvisa eredità del padre, il Premio Campiello 2024.
Il suo romanzo in cui è forte il tema dei confini personali e storici ha conquistato il cuore della Giuria dei Trecento Lettori Anonimi con 101 voti.
"Visto che è un libro nato nei confini lo vorrei dedicare a tutte le persone che hanno attraversato i confini, soprattutto il confine orientale di Trieste e che lo fanno immaginando e sognando un presente migliore in un momento in cui a Trieste prima ancora che in altre parti di Europa, Schengen è stato sospeso e lo è ancora. Vorrei che questa piccola cosa mia fosse di buon auspicio" ha detto la scrittrice.
Nata nel 1981 a Pordenone, vive tra Milano e Trieste: qui si è laureata in Filosofia contemporanea. Ha pubblicato suoi racconti sulla rivista Nuovi Argomenti (di cui è stata redattrice) e sulla webzine italiana Carmilla on line prima di esordire nel 2008 nella raccolta corale Tu sei lei e con il romanzo Come si dice addio. Nel 2011 il suo secondo romanzo Di fama e di sventura ha vinto il Premio Rapallo Carige per la donna scrittrice ed è entrato nella cinquina finalista del Premio Campiello. Nel 2015 ha curato il volume collettivo I mari di Trieste. È stata editor della Narrativa Straniera a Mondadori e successivamente docente e responsabile della didattica presso la Scuola Holden di Torino.
La sua vittoria porta alla luce un tema sottile ma importantissimo che ha messo in evidenza in modo magistrale Daniela Brogi attraverso la sua pagina Facebook e che riporterò qui: la rappresentazione delle donne che vincono premi di prestigio, fanno parte del contesto culturale o in qualsiasi modo occupano spazio.
Brogi lo spiega benissimo riportando alcuni esempi di foto selezionate per rappresentare Federica Manzon. Si parte da questa immagine:
Scrive Brogi:
Nell’immagine in basso a destra trovate lo screenshot delle le prime casuali foto che appaiono digitando con un motore di ricerca il nome di “Federica Manzon” , l’autrice che ha vinto ieri sera il Premio Campiello con il romanzo “Alma”, pubblicato da Feltrinelli. (Sono molte di più di quelle messe qui)..
Nell’immagine in alto a destra vediamo invece 4 uomini adulti (molto diversi e molto belli) in posa; accanto a loro una ragazzina - direi in una foto scattata almeno 20 anni fa. È un’immagine , quella della piccolina, che mi procura, ci procura un sentimento di tenerezza (anche perché il taglio dei capelli, la montatura, l’espressione: sono tutti segni che collocano la foto in un mondo lontano da noi, così tanto da parere quasi immobile e fuori dalla storia, come per effetto d un incantesimo). Dall’epoca di quella foto Manzon ha lavorato tanto, ci risulta, e infatti l’espressione matura delle immagini che ho messo, come in generale la postura pubblica d Manzon raccontano anche questo.
La foto di Baby Manzon è quella usata, accanto alle 4 foto d’autore, per l’articolo che vedo uscito su “Snaporaz” in cui si parla della Cinquina e della serata finale del Campiello , spiegando i destini della letteratura contemporanea e del mercato editoriale.
Lo sappiamo da tempo: nel caso degli autori (maschi) si tende a usare categorie stilistiche, storiche, critiche - tutto quello che serve per fare critica letteraria; nel caso delle autrici invece notazioni sociologiche - quelle, per intendersi, per cui due scritture così diverse come quella di Janeczek e Manzon, per esempio, potrebbero finire nella medesima classe, o dietro la lavagna.
Ora, tutto questo provoca almeno due problemi. il primo è quello raccontato dall’uso così ridicolo, ma eloquente (il termine è “vendetta del significante”) della foto vintage dell’autrice. È in atto un doppio registro in effetti molto coerente con la doppia verità rispettivamente applicata a seconda del genere. Si chiama “misoginia” ; e io mi imbarazzo molto, sia per chi la pratica, sia per chi la ammira, perché chiedo scusa, ma non è un disagio personale e basta, visto che riguarda proprio l’idea che si può avere della letteratura contemporanea, a tutti i livelli.
Il secondo problema poi, e nella fattispecie, si può facilmente constatare considerando il paesaggio formato dai romanzi italiani più noti usciti quest’anno, perché c’è un dato che salta agli occhi e cioè che tutte quelle categorie usate di solito e spesso confusamente per escludere le autrici da una lettura critica seria (anche negativa, naturalmente), stavolta riguardano ottimi libri d’autore.
Mai come quest’anno avevamo letto e ascoltato infatti scrittori (i primi che mi vengono in mente: Giartosio, Mari, Voltolini, Trevi, Franchini, Ruol, Follin) parlarci d biografie e fatti personali, di madri, di padri, di case, di memorie. Tant’è vero che se riguardiamo la cerimonia del Campiello d ieri sera è davvero significativo: Trevi, Franchini, Mari, hanno tutti raccontato memorie lessici famigliari e aneddoti personali suii rispettivi genitori; parlando, per toni e contenuti, in una maniera che nessuno avrebbe perdonato alla “studentessa” Manzon - che intanto invece ha presentato il suo romanzo parlando di frontiere, di guerre, di concetti falsi d patria. Come si vede, i conti non tornano. Non solo: io credo che intossichino l’aria, creino contrapposizioni false, indeboliscano tutte o tutti o tutt*.
Sentivo il dovere di dirlo. Almeno finché questa pagina resta mi piace usarla anche così. E siccome al gioco dei maschi contro femmine non mi interessa appartenere - sia per amor d femminismo, che di cultura, e di amore per e quella felicità che ti può procurare un’opera, in questo autunno ho invitato a parlare con me dei loro romanzi Federica Manzon (27 settembre : Libreria Rebecca per Bright Unistrasi); Antonio Franchini (2 ottobre: La Limonaia, a cura d Mondadori Siena); Helena Janeczek (10 ottobre: Sesto Fiorentino: Ubik); Vanni Santoni (in uno dei miei corsi) e se potrà Michele Mari (etc :continua).
Le locandine erano già pronte da tempo. Se vi occorre una foto recente di Manzon con i crediti ve la regalo, è la foto a sinistra, l’ho scattata io. Ci sono Manzon e Franchini: che si stimano, si leggono, ieri si sono abbracciati spesso. Praticano un’idea di letteratura come dialogo tra diversità che mi piace molto e in cui mi riconosco, insomma.
🌱 La parola
Aborto farmacologico
L’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, basata sull’assunzione di due pillole (il mifepristone, conosciuto come RU486 e il misoprostolo).
Nell’ultima guida per gli operatori sanitari sui servizi di IVG rilasciata a giugno 2023, la stessa Oms indica l’autogestione come opzione raccomandata per l’IVG farmacologica entro la 12° settimana come alternativa “alla supervisione diretta e in presenza da parte del personale sanitario”.
Pur essendo definita dall’Oms una procedura sicura e raccomandata per le interruzioni di gravidanza, in Italia l’aborto farmacologico è più in ritardo, perché la pillola abortiva è arrivata solo nel 2009. Certo è che negli anni sempre più persone l’hanno preferita al metodo chirurgico, passando dallo 0,7% nel 2010, al 20,8% nel 2018, fino al 31,9% nel 2020.
Permangono importanti divari regionali sul ricorso all’aborto farmacologico, sia per quanto riguarda il numero di interventi che per il numero di strutture che lo offrono. Le Regioni che registrano il numero maggiore di aborti farmacologici sono Liguria (76,4%), Calabria (75,4%), Basilicata (74,4%), Emilia-Romagna (66,5%), il Piemonte (65,4%). Tra il 50 e il 60% si attestano Umbria, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Toscana, Valle d’Aosta e Puglia. La Lombardia si ferma al 36,6% e il Veneto al 38,2% (dati Relazione annuale al Parlamento sull’interruzione volontaria di gravidanza, pubblicata il 6 ottobre 2023).
🍸 Coraggio liquido
Cose solide ma delicate: Gin Neve è montano, ha il profumo di boschi alpini. Netto e balsamico, su toni di resina e radici aromatiche. Puoi sentire la corteccia ma pure la carezza. Perché siamo neve.
❤️ L’amore è una playlist
Sopravvivenza di base:
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: tutto troppo stretto.
Cura: i lunedì sera da ora.
🥂Offrimi un gin tonic & support LRSB
LRSB è un progetto editoriale indipendente. Vuoi supportarlo? Puoi farlo parlando della newsletter, condividendola con chi ami, sui tuoi social, nel tuo diario segreto, inoltrandola a chi vuoi bene e pure a chi no.
…Oppure puoi offrirmi il gin tonic che aiuta a ispirare le ragazze con una donazione libera. Parliamo di femminismi senza budget ma - intervistare, girare, fare, leggere, approfondire - è più facile con il tuo sostegno.