Girlboss nun t'areggo
Possiamo liberarci dal lavoro solo quando non avremo più bisogno di presidiarlo: per questo serve che sia a nostra misura.
Un amico mi ha sognata con un vestito rosso e i fiori in testa. Una collega mi ha fotografata mentre non mi preoccupavo di essere me e io mi sono vista. Un’amica di un’amica mi ha trovata in mezzo alla folla e mi ha riconosciuta.
L’identità è un fatto sociale, un processo di percezione e auto-percezione che lega sé e gli altri: a volte il mondo ci vede in quello che non vediamo. E, altre volte, chi sei lo devi far vedere al mondo. Un’esigenza che per le donne è diventata un tratto costitutivo: per questo abbiamo ragionato sulla nostra soggettività. L’autocoscienza deriva dal bisogno di sapere chi si è. Dalla scoperta della differenza - che non è uguaglianza - nasce, nelle parole della filosofa femminista Luisa Muraro, “l’indicibile fortuna di nascere donne”:
Sentire dentro di me, a partire da me, che le donne esistono per sé stesse, non come seconde, pari o complementari degli uomini, ha cambiato me e il mondo: siamo cambiati entrambi, perché, quando è stato vero per me, il mondo ha cominciato a popolarsi di donne, non solo nella mia vita, ma anche, a sorpresa, nella storia: uscivano e continuano a uscire dai ricordi delle persone, dalle soffitte, dagli scatoloni delle biblioteche.
“Voglio un mondo di sole donne”, ad esempio, io lo penso tutte le volte che siamo più istruite e meno pagate (dati Istat). O tutte le volte che siamo indirizzate a lavori retribuiti che comunque hanno a che fare con la cura: in Italia solo il 4% dei ceo e solo il 6% dei cfo è donna. Per questo, anche all’interno dei consigli di amministrazione, sarà una donna ad accollarsi il lavoro di cura che esiste anche nei livelli più alti del management: quella mail di recap che scriverai tu, quelle redini da tenere di cui ti preoccuperai tu, quelle esigenze da soddisfare secondo delicati equilibri che magari non ti riguardano nemmeno, quel calendar da bloccare e che bloccherai tu. E questo avviene perché, tutto sommato, quel posto da ceo per una donna è una “concessione”: te lo sei guadagnato duramente, ma non è davvero quello che ti spetta. Dopo le formalità, è la “confidenza” - anche professionale - a svelare gli stereotipi: il regime del lavoro salariato ha liberato le donne dalla segregazione domestica. Ma ha creato nuove segregazioni nel mercato del lavoro:
se la segregazione verticale descrive quella situazione per cui le donne non “sfondano il soffitto di cristallo” e sono assenti nelle figure apicali del potere, la “segregazione orizzontale” fa riferimento alla concentrazione delle donne in mansioni considerate “tradizionalmente femminili” (istruzione, sanità, servizi sociali e servizi domestici alla persona) in virtù del loro rappresentare simbolicamente la continuazione del lavoro di cura svolto in casa.
D’altronde, lo stesso articolo 37 della nostra Costituzione - su cui le “deputatasse” tanto si sono battute” - lo dice:
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzionale familiare.
Le costituenti si sono molto opposte all’aggettivo “essenziale” riferito alla funzione familiare perché, come affermavano, “consacrerebbe un principio tradizionale, ormai superato dalla realtà economica e sociale”. Nell’aggettivo “essenziale”, infatti, c’è una commistione tra tutela e segregazione, tra protezione dei diritti e perpetuazione di stereotipi che ha segnato la legislazione per molti anni: tutta volta alla protezione delle donne più che alla loro promozione. Ed è questo il motivo per cui, ancora oggi, “sei l’unica donna”. Ed è per questo che la ministra Roccella può dire che il supporto dei nonni nella cura dei nipoti è una forma di “invecchiamento attivo” invece di fare la conta degli asili disponibili che agevolerebbero il lavoro della madri, le più penalizzate: oggi, ad esempio, un posto all’asilo ce l’ha solo 1 bambin* su 3.
Io non voglio parlare di lavoro eppure è sempre lì che mi ritrovo quando ragiono anche sulla “soggettività”: se è il modello maschile che dobbiamo ricalcare per uscire dalla “segregazione”, che senso ha farlo? Possiamo liberarci dal lavoro quando anche il lavoro sarà a nostra misura e quindi non avremo l’esigenza di presidiarlo con così tanta veemenza. È lì, nella mancanza di “stretta necessità” e nella formazione del desiderio, che possiamo inventare forme nuove. E allora mi sogno davvero con un vestito rosso e i fiori in testa: un mondo nuovo, prima che costruito, va immaginato. E si parte esattamente da questo: dalla consapevolezza e dal mutuo aiuto. Un fatto di streghe e magie in cui l’intuito vale più di mille business plan impaginati bene. Ci serviamo preparate. Impeccabili. Ma ci serviamo. Nel senso che “serviamo” a noi. Perché, “servire agli altri”, lo abbiamo fatto per secoli. Fare meno, anche meno. E ora è tempo di fiori nei capelli. Recidere i legami. Fare spazio al nuovo. Con permesso, andrei al mare.
📰 Rassegnami
Il Parlamento europeo chiede di inserire l’aborto nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue
Per il riconoscimento come diritto fondamentale ora serve il via libera dei 27 Stati membri, un'impresa che si annuncia complicata: Polonia e Malta hanno addirittura leggi che ne limitano l'accesso.
Social freezing, perché non è solo una “tendenza” e quanto è realmente accessibile
Si chiama “social freezing” e indica la crioconservazione degli ovociti, ovvero la pratica che permette di preservare la fertilità consentendo di avere una gravidanza quando lo si desidera. Sempre più donne ne fanno ricorso ma l’accessibilità economica del trattamento è un ostacolo che non lo rende accessibile a tutte e intacca quella che potrebbe essere una potenziale e libera scelta delle donne, a prescindere dal loro status economico. Ne ho scritto per The Wom.
Periferie: cosa si sta facendo per dare un futuro ai ragazzi?
Il concetto di periferia è una sorta di costruzione sociale che descrive una condizione di marginalità, non sempre legata allo spazio fisico, ma sicuramente un luogo del degrado da cui è difficile sganciarsi. L’etichetta “periferia” crea un giudizio negativo che contrappone le èlites che governano la città alla rappresentazione di ciò che è escluso da esse. Ma come per il Sud, si crea negli abitanti delle periferie un’autorappresentazione fuorviante e dolorosa, poichè di fatto essi “non sanno e non possono parlare da sé e per sé, perché non si riconoscono come un soggetto autonomo dotato di parola, anzi chi vive nei quartieri della marginalità urbana avanzata è più facilmente disposto ad accettare il giudizio (negativo) di chi vive altrove che a esprimere una visione propria”, scrive Agostino Petrillo, sociologo urbano del Politecnico di Milano.
Uomini e donne della GenZ hanno idee politiche e visioni del mondo sempre più contrapposte
Negli ultimi vent’anni, il divario tra le opinioni politiche di maschi e femmine è aumentato a livello globale: se negli anni ’90 non c’era molta differenza tra uomini e donne di età compresa tra 18 e 29 anni nell’autodefinirsi su una scala da 1 a 10 da molto liberali a molto conservatori, oggi il 27% in più di donne si colloca a sinistra rispetto a vent’anni fa. Tra gli uomini, si è registrato un aumento solo del 2%.
🎯 Nominare è fare esistere
Solo il 16% delle biografie presenti su Wikipedia riguarda le donne: una percentuale impari e incrementata dal lavoro di Wikidonne. In questo spazio ridiamo spazio: una bio per ogni numero. Storie per riscrivere la storia.
Donatella Turtura
La prima donna ad essere eletta segretaria generale Federbraccianti e a entrare - nel 1980 - nella segretaria nazionale Cgil: quella di Donatella Turtura è una vita di impegno e prime volte.
Nacque a Bologna il 30 marzo 1933 da Alberto e Gilberta Tugnoli. Il padre, che aveva dovuto interrompere gli studi di ingegneria poco prima della laurea, era impiegato all’Università di Bologna; la madre, dopo il matrimonio, aveva smesso di lavorare. Profondamente legati agli ideali risorgimentali, si erano sposati con rito civile nel 1927 e avevano avuto quattro figli: Giulio nel 1928, Maria nel 1930, Donatella nel 1933, Arianna nel 1935. Entrambi accaniti lettori, i coniugi Turtura stimolarono la crescita intellettuale dei loro figli, senza alcuna discriminazione tra il primogenito e le ragazze.
A indirizzare la vita di Turtura – fu ella stessa a scriverlo – furono tre parole “scritte malamente e con la calce” su una saracinesca di un negozio di via Santo Stefano: “pace, giustizia, grassi”. Quelle tre parole esprimevano, nella loro estrema sintesi, l’intreccio tra bisogni materiali ed etici, tra aspirazione a migliorare una condizione materiale e l’affermazione di sé come soggetto, che connota le battaglie per l’emancipazione degli oppressi.
Un legame a cui ispirò costantemente la propria attività, cercando di tradurre le aspirazioni e gli ideali dei lavoratori e delle lavoratrici, in qualcosa di concreto, che portasse benefici tangibili e immediati e fosse a sua volta in grado di far maturare coscienze e sollecitare nuovi traguardi di emancipazione.
Dopo le elementari si iscrisse al ginnasio liceo Galvani. Qui conobbe due insegnanti che ebbero un ruolo importante nella sua formazione culturale e politica: la professoressa di matematica Italia Betti e il professore di filosofia Giuseppe Gabelli. Betti, sorella del dirigente comunista Paolo, era tra i capi del Comitato di liberazione nazionale dell’Emilia-Romagna, impegnata nelle attività di base del Partito comunista italiano (PCI), nelle quali coinvolse presto Donatella e la sorella Maria; Gabelli teneva una sorta di cenacolo serale al quale partecipava anche la giovane ginnasiale. Le due sorelle presero a frequentare la sezione comunista Vittorio Ghini e nel 1947 Donatella si iscrisse alla Federazione giovanile comunista italiana (FGCI).
Dopo aver frequentato un corso di formazione politica alla Scuola nazionale e provinciale quadri Anselmo Marabini della Federazione di Bologna e uno alla Scuola centrale femminile Anita Garibaldi di Faggeto Lario (Como), nel 1950-51 fu scelta da Diana Sabbi – responsabile della commissione femminile della Camera del lavoro di Bologna – per seguire i lavoratori ospedalieri, inquadrati nella Federazione nazionale dipendenti enti locali.
In occasione della campagna elettorale del 1953, per impedire che scattasse il premio di maggioranza previsto dalla ‘legge truffa’, le Sinistre mobilitarono tutti propri quadri. Turtura accettò di andare a Benevento.
Il 30 marzo (compiva quel giorno vent’anni) la polizia fece irruzione nella Camera del lavoro, dove era in corso un comizio, arrestò il segretario Domenico De Brasi e altri dirigenti locali. Nonostante la giovane età, fu tra gli ultimi a essere rilasciata (il 4 aprile), rispedita a casa con il foglio di via obbligatorio. Su indicazione del partito si recò invece ad Avellino, dove continuò la campagna elettorale.
Colpita dalle condizioni di vita dei lavoratori meridionali si trattenne in Irpinia sino a settembre. Tornata a Bologna, passò a occuparsi delle lavoratrici dei grandi magazzini – organizzate dalla Federazione italiana lavoratori commercio e affini della Confederazione generale italiana del lavoro (CGIL) –, un settore in rapida espansione.
Negli stessi anni frequentò la cellula universitaria del PCI, senza che alcuno si accorgesse che non aveva compiuto studi universitari. Il lavoro tra le commesse e il dialogo con il mondo intellettuale, pur nella loro diversità, contribuirono a renderla sensibile ai radicali mutamenti sociali in atto.
Nel settembre del 1958 entrò a far parte della segreteria della Federazione comunista bolognese. Attraverso l’osservatorio ‘femminile’ comprese i cambiamenti che maturavano nella regione e nel Paese e le sue analisi ebbero un grande peso nella linea di rinnovamento del partito locale e nell’indirizzo dato alla I Conferenza regionale comunista dell’Emilia-Romagna (27-29 giugno 1959). Entrò quindi nel comitato regionale di coordinamento, venne riconfermata nella segreteria federale, con la responsabilità della commissione lavoro.
Delegata al IX Congresso nazionale (Roma, 30 gennaio-4 febbraio 1960), partecipò alla commissione elettorale e si batté perché il rinnovamento del gruppo dirigente fosse all’altezza dei mutamenti politici adottati.
Fu eletta nel comitato centrale, organismo che lasciò solo nel marzo del 1974, quando la CGIL decretò l’incompatibilità tra cariche sindacali e di partito. Nel novembre del 1960, in occasione delle elezioni amministrative, a soli ventisette anni, fu eletta nel Consiglio provinciale di Bologna e nominata capogruppo della folta rappresentanza della lista Due Torri (dovette lasciare prematuramente la carica nel febbraio del 1963).
Nell’ottobre del 1961 lasciò Bologna per assumere la responsabilità della commissione femminile della CGIL. In meno di un anno arrivò a organizzare la III Conferenza nazionale delle donne lavoratrici (Roma, 9-11 novembre 1962). Furono indicati nuovi obiettivi: aumenti salariali per un ‘salario autosufficiente’, la riforma della legge sulla maternità (che giunse a compimento nel 1971); l’istituzione di asili nido e scuole materne, non più a solo carico delle imprese e situati all’interno degli stabilimenti, ma come servizi sociali. La Conferenza approvò l’istituzione dell’ufficio lavoratrici affiancato da una consulta centrale partecipata da militanti di base e donne dirigenti delle diverse categorie per coordinare e promuovere le donne a ruoli dirigenti generali.
Nel 1980 entrò a far parte della segreteria nazionale della CGIL, all’interno della quale si occupò in particolare del dipartimento territorio e regioni. Per condurre tutto il sindacato a una nuova strategia politica promosse momenti di riflessione unitaria, come il convegno sull’assetto idrogeologico (10-11 maggio 1983), o quello sulle Regioni (13 gennaio 1984). All’XI Congresso della CGIL (Roma, 28 febbraio-4 marzo 1986) fu riconfermata alla segreteria nazionale.
Nel luglio del 1988 divenne segretaria generale aggiunto del sindacato dei lavoratori dei trasporti (FILT, Federazione Italiana Lavoratori Trasporti), un settore sottoposto a forti tensioni per i processi di privatizzazione da un lato e le resistenze corporative di alcuni settori operai. Alla FILT cercò di impostare il rinnovamento su alcuni cardini: polo pubblico aperto ai privati, authority di controllo, omogeneità contrattuale, nuovi consigli dei delegati. Affrontò con coraggio le infuocate assemblee di portuali, lo scontro con una figura storica del sindacato ferrovieri CGIL, Enzo Gallori, che giunse sino alla sua espulsione dalla CGIL. Nel suo saluto al V Congresso della FILT (Bari, 7-10 ottobre 1991), ammise che vi erano nel gruppo dirigente “diverse sensibilità nell’impegno strategico di innovare le relazioni industriali” (l’Unità, 10 ottobre 1991) e per questo lasciava la categoria. Tornata nella CGIL nazionale si occupò della lotta alla criminalità. Il 21 aprile 1992 la Confederazione la designò a rappresentarla nel Consiglio nazionale dell’economia del lavoro dove coordinò l’Osservatorio socioeconomico sulla criminalità.
🌱 La parola
Male breadwinner model
Il male breadwinner model consiste in un modello di sostentamento in cui sono i soli uomini a guadagnare un salario familiare e a provvedere al mantenimento della famiglia - “portare il pane a casa” - mentre le mogli si dedicano ai lavori domestici e alla gestione e alla cura dei membri della famiglia.
Al modello male breadwinner si contrappone il dual earner, doppio lavoratore o a doppio reddito, ossia un modello nel quale entrambi i componenti della coppia sono impiegati full time. Questo avviene principalmente grazie all’esternalizzazione delle attività domestiche e di cura.
🍸 Coraggio liquido
Il Roby Marton Gin viene distillato in Veneto, più precisamente a Bassano del Grappa, dove dal lontano 1957 è una realtà consolidata del territorio nazionale e internazionale nel mondo del gin. Il processo di distillazione con cui il gin Marton è realizzato è quello tradizionale: il ginepro viene prima distillato per dare il gusto base. La seconda fase è quella che porterà il Roby Marton Gin ad avere il suo segno distintivo, ovvero quel colore dorato e torbido. Per ottenerlo, vengono distillate 11 botaniche differenti in cui i sapori dominanti sono quelli di ginepro, liquirizia, zenzero e aromi degli agrumi. Una spremuta ma più alcolica. Stay healthy.
❤️ L’amore è una playlist
💫 Autodiagnosi e cura
Autodiagnosi: seguire la magia anche di lunedì sera.
Cura: fare come so fare, la felicità come so riconoscerla.
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